All’inizio degli anni Duemila, come accade talvolta nel mondo allo scoccare degli anniversari a cifra tonda, tra molto ciarpame millenaristico, circolava un libro dello storico Robert Cowley, tradotto in italiano per Rizzoli con il titolo: “La Storia fatta con i se” .
Si trattava di una raccolta di saggi di vari autori che provavano a tracciare un plausibile profilo del mondo contemporaneo domandandosi come sarebbe andata se Napoleone avesse vinto a Waterloo, Lenin non avesse fatto la rivoluzione d’ottobre, se Roma non avesse vinto nel 202 a.C. a Cartagine, eccetera.
Siamo alla vigilia di eventi epocali che possono davvero cambiare il volto del mondo occidentale nel breve volgere di qualche mese e, forse, può essere non un esercizio ludico prefigurare, alla maniera del metodo Cowley, cosa potrebbe accadere se si verificassero alcune circostanze che oggi una buona parte della pubblica opinione teme, mentre un’altra si augura tenacemente.
Cominciamo dalla scadenza più vicina: il referendum inglese. Evento già doloroso perché sarà difficile per tutti non collegare al voto del 23 giugno l’omicidio di Jo Cox, così come è difficile scollegare l’attentato omicida di Sarajevo del 1914 (28 giugno) ai danni dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia, all’inizio del ciclo delle guerre mondiali del novecento.
Poniamo che vincano gli oppositori della permanenza della Gran Bretagna in Europa. Al netto della drammatizzazione che la City di Londra sta allestendo nei mercati finanziari, sicuramente ci sarebbero ripercussioni non lievi nelle economie dell’Unione Europea. Ma l’aspetto più rilevante di quella scelta sarebbe quello di affermare, rispetto anche ad altri paesi, che non c’è irreversibilità nella permanenza nell’UE. Questo potrebbe incoraggiare analoghe prese di posizione da parte di alcuni paesi nordici, come Olanda, Danimarca e forse Svezia, attraversati da suggestioni di uscita, e le cui economie non soffrono delle stesse fragilità del resto d’Europa. L’UE rischierebbe un forte scossone e forse il rischio di rimanere travolta. Sarebbe messa con le spalle al muro, in un contesto che apparirebbe più fragile nei suoi confini nord occidentali e, probabilmente, più sospinto verso i confini meridionali. Non avrebbe altra scelta se non quella di consolidare il nucleo dei paesi fondatori, cercando la via della rifondazione europea con un nuovo patto. Strada che, comunque, sarebbe opportuno intraprendere anche se vi fosse l’auspicata conferma dell’adesione inglese all’UE.
L’ipotesi dell’uscita della Gran Bretagna, poi, potrebbe sposarsi con l’altra (non auspicata, ma non del tutto improbabile) vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane. Il re dei populisti mondiali probabilmente non ha paragoni con le esperienze già vissute dai paesi democratici. Negli USA, che pure hanno avuto presidenti come Reagan, indicato alla vigilia delle sue elezioni come una specie di controfigura cinematografica della recitazione presidenziale (ma in realtà si dimostrò più all’altezza della situazione di quanto non fosse prevedibile), non ci sono precedenti. Certo, i segnali che vengono dal personaggio fanno pensare a pericolose suggestioni di ripresa imperialistica, di pratica xenofoba, di esaltazione di modelli turbocapitalistici e tendenzialmente guerrafondai. Ma gli anticorpi coltivati dal sistema americano (lo stesso capitalismo e la stampa, oltre che le istituzioni parlamentari) potrebbero almeno in parte riequilibrare la virulenza di questa ondata trumpiana. Di certo, il combinato disposto vittoria di Trump-nuovo isolazionismo britannico, potrebbe rafforzare il compattamento di rapporti anglo-americani che non si giocherebbero in favore dell’Europa.
Al catalogo dei “se” manca l’Italia: chi vincerà il referendum di ottobre? E che succederà? Ma questo è già un altra storia. Ne parleremo in un altra puntata della saga di Cowley.
Pino Pisicchio
Presidente del gruppo Misto alla Camera