Ribaltone PD: fine di una vocazione maggioritaria e governativa
La sorpresa dell’investitura di Elly Schlein per via delle primarie può essere interpretata anche come una sconfitta dei cosiddetti

È da decifrare il senso dei risultati espressi nei gazebo che hanno premiato Elly Schlein per la segreteria del PD e ribaltato le indicazioni dei circoli favorevoli a Stefano Bonaccini.
Si tratta di un evento che cambia i connotati storici di un partito organizzato sul territorio e ramificato nelle istituzioni politiche ed amministrative del Paese. E, perciò, va valutato al di là di un naturale derby fra due candidati o di una competizione fra correnti interne al partito.
Fra le due modalità di consultazione, già sperimentate sin dalla fondazione, spicca la prevalenza della volontà o preferenza, che dir si voglia, di esterni, simpatizzanti o potenziali elettori, rispetto al circuito della militanza tesserata e dell’establishment consolidato.
Con questo esito non è fuori luogo chiedersi se per il secondo partito dell’attuale schieramento italiano, per rappresentanza politica ed amministrativa, stia per iniziare “una nuova storia” e “ci sono le condizioni per ripartire”, come affermato, rispettivamente, da Dario Franceschini e da Enrico Letta, o si tratti della continuazione di un movimento di faglia della sinistra che da oltre un decennio procede su un piano inclinato per consensi elettorali (da oltre 12 milioni del 2008 a poco più di 5 milioni del 2023) e per partecipazioni alle primarie (da oltre 3 milioni e mezzo del 2007 a poco più di un milione del 2023).
La sorpresa dell’investitura di Elly Schlein per via delle primarie può essere interpretata anche come una sconfitta dei cosiddetti capibastoni locali o di correnti organizzate, ma certamente rompe con gli schemi, per genere, età e percorso politico e culturale, praticati nelle precedenti celebrazioni con Walter Veltroni, Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi e Nicola Zingaretti.
Da qui il secondo quesito, che non riguarda tanto la discontinuità di genere alla guida di un partito in proiezione di ingresso a Palazzo Chigi, il cui traguardo, nel campo opposto, è stato già tagliato da Giorgia Meloni, quanto l’ipotesi che si possano scalare dall’esterno vertici e gerarchie di un partito strutturato in termini di organizzazione territoriale e sociale e riconoscibile per cultura ed ideologia, come il PD ed i suoi antenati: PCI e Sinistra DC.
Ne è una sorta di prova al tornasole la stessa bocciatura della candidatura di Stefano Bonaccini, figura antropologica della sinistra storica e governante. Ed è maturata in un clima di sfiducia verso le tradizionali forme di aggregazioni partitocratiche, di cui il PD è quello che ha pagato di più in termini di consensi: surrogato nell’ambito della galassia della sinistra da altri soggetti, contestato da movimenti spontanei o organizzati ed elettoralmente battuto dalla destra.
Numeri, non opinioni, ne configurano l’esaurimento delle energie fondative basate sul presupposto di una vocazione maggioritaria. La sua parabola è destinata a riscrivere nuovi scenari, di già, nel campo delle opposizioni avviandosi da partito della governabilità verso una sinistra identitaria più vicina al movimentismo che al riformismo. Se ne avranno notizie più appropriate quando la nuova segreteria dagli slogan di tendenza dovrà passare ai contenuti dell’offerta su cui costruire alleanze politiche e sociali, ma soprattutto di impatto culturale ed identitario, fonte di consenso o dissenso o addirittura di diaspora all’interno delle componenti storiche che hanno dato vita al PD.
Per il momento, le parole di Elly Schlein sono ferme al rituale e legittimo preannunzio dell’avvio di “una stagione molto interessante” che sarà “un bel problema per il Governo Meloni”.
Avviso recepito dalla Premier che, nel complimentarsi dell’esito del congresso, si augura che “l’elezione di una giovane donna possa aiutare la sinistra a guardare avanti e non solo indietro”.
Buon lavoro ad entrambe.