«Del giovane caudillo Renzi, che dire? Un maleducato di talento. Il Corriere ha appoggiato le sue riforme economiche, utili al Paese, ma ha diffidato fortemente del suo modo di interpretare il potere. Disprezza le istituzioni e mal sopporta le critiche. Personalmente mi auguro che Mattarella non firmi l’Italicum».
A scrivere così due anni fa di Matteo Renzi era Ferruccio de Bortoli nel suo saluto ai lettori, «I giornali devono essere scomodi», all’atto di lasciare la direzione del Corriere della Sera.
Era indubbiamente un ritratto duro, ma anche veritiero. In fondo, in un panorama politico affollato fin troppo da mezze figure, da qualche larva e soprattutto da opportunisti e pusillanimi, fin da subito Renzi aveva mostrato un innegabile coraggio, una sorprendente vivacità, un’incomprimibile energia. Una cosa, però, è l’esuberanza, altra cosa è l’intemperanza, per non dire poi della maleducazione e della villania, di cui ha fatto sfoggio più volte.
Renzi, in questi anni, ha dato prova di tutto ciò, muovendosi ovunque -sia all’interno del proprio partito che con i partner della maggioranza di governo, sia in Italia che all’Estero- con decisione sì, ma anche da bullo, con la grazia di un elefante in una cristalleria.
Oddio, qualche sonora lezione, in particolare quella impartita dagli italiani lo scorso dicembre con la consultazione referendaria, Renzi l’ha avuta e l’ha pure avvertita, ma l’avrà capita fino in fondo?
Più no che sì. Almeno questa è l’impressione che dà. E certi ultimi accadimenti confermano questa sensazione.
Ci riferiamo al recente scontro avuto da Renzi con Ferruccio de Bortoli, il quale nella sua ultima pubblicazione, I poteri forti (o quasi), gli dedica un intero capitolo dal titolo assai eloquente: «Renzi, ovvero la bulimia del potere personale». C’è da dire che de Bortoli, persona sempre molto sobria ed equilibrata, non si risparmia nel dare dell’ex premier un pessimo, anzi, persino preoccupante ritratto, corredato pure da un episodio sgradevole, che svela il suo per nulla corretto rapporto con la stampa e dal quale l’attuale segretario del Pd esce malissimo.
Ad ogni modo, niente di straordinario se un prestigioso giornalista esprime giudizi così tranchant su un politico. Fa parte del suo lavoro. Peccato, invece, che al giovine Renzi, irrimediabilmente sempre troppo guascone e toscanaccio, manchi quella sottile e sornione ironia dei politici di spessore, oggi, in verità, assai rara da rintracciare.
«Ferruccio de Bortoli –afferma Renzi in un’intervista rilasciata pochi giorni fa- ha una ossessione personale per me… Forse perché non mi conosce. Forse perché dà a me la colpa perché non ha avuto i voti per entrare nel Cda della Rai e lo capisco: essere bocciato da una commissione parlamentare non è piacevole. Ma può succedere, non mi pare la fine del mondo».
Incorreggibile questo Renzi. Che caduta di stile. Quale occasione persa per dimostrare di aver capito qualcosa della lezione del 4 dicembre scorso. Resta sempre lo stesso. Presuntuoso. Irriverente. Insolente. Sbruffone. Meglio ancora, come insegna de Bortoli, mostra di essere un maleducato di talento, un giovane caudillo… magari caricaturale, ma caudillo.
Peccato, è questo uno dei limiti, forse il peggiore, di Renzi. Viene spontaneo chiedersi: anche se eletto democraticamente con le primarie a segretario del Pd, Renzi sarà capace di essere, diversamente da quanto in più di un’occasione ha dimostrato, un vero e sincero leader democratico?
Per farla breve, riuscirà, a cominciare dal suo partito, a tenere in debito conto le altrui opinioni, anche se minoritarie, quantomeno a rispettarle? La smetterà di deridere o mortificare a destra e a manca, dentro o fuori dal suo partito? Riuscirà, dopo tutto quello che è avvenuto in questo ultimo anno nel Pd, a non nascondersi dietro i consensi ottenuti per affermare la dittatura della sua maggioranza, o meglio della sua persona? E ancora, anche se eletto da un milione e passa di cittadini, riuscirà a liberarsi di quella visione padronale e non democratica del partito di cui ha dato finora più di una prova?
La questione non è da poco. Il Pd, con tutti i suoi limiti e problemi, resta l’asse politico centrale di un possibile sistema di alleanze che in qualche modo dovrebbe dare, anche nella prossima legislatura, un governo sufficientemente valido e stabile al Paese.
A meno che gli italiani alle prossime elezioni non decidano diversamente. A prescindere da Renzi, dalle sue doti e capacità o dai suoi difetti ed errori.
Questo, però, è un altro discorso.