Referendum, Maria Di Serio: “Un No per non falsare la Costituzione con un colpo di mano”
Archeologa, insegnante, coniugata, una figlia. Maria Di Serio è stata fino alla scorsa estate segretario generale della CGIL di Salerno, dopo aver ricoperto precedentemente, dal 2006 al settembre 2013, un incarico in segreteria nazionale di categoria, la NIdiL CGIL, categoria dei lavoratori atipici, e prima ancora segretaria generale sempre del NIdiL CGIL ma della provincia di Salerno.
In politica è stata impegnata negli anni ’90 con la federazione dei Verdi, ricoprendo anche ruoli nazionali. Nella sua città, Cava de’Tirreni, è stata molto attiva, tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90, in associazioni di volontariato, ricoprendo il ruolo di vicepresidente dell’associazione Incontro, centro d’accoglienza per tossicodipendenti e ambientaliste.
In questo frangente referendario, è schierata per il NO. Ci dice almeno tre buone ragioni per votare NO?
Abbattimento degli spazi di democrazia e taglio della possibilità di voto del popolo.
Il ridimensionamento del Senato e la scelta di non averlo veramente eletto dai cittadini, ma attraverso le nomine di organi di governo regionale e nazionale, di fatto, ridimensionano fortemente la rappresentanza . Il risparmio sui costi non giustifica la modifica del Senato contenuta nella riforma proposta dal Governo. Insomma, in nome della necessità di modifica del bicameralismo perfetto e dell’abbattimento dei costi, avremo un nuovo carrozzone, non votato dai cittadini, come già le Province, a cui si cerca di dare una ragione e una funzione. Si poteva risparmiare abbassando complessivamente, tra Camera e Senato, il numero dei parlamentari.
Accentramento di poteri al Governo.
La possibilità di riportare una serie di azioni, attraverso interventi legislativi, al solo governo centrale (art. 72), se considerate d’urgenza, di fatto diventa un accentramento di poteri in capo al Governo. Come in capo al Governo finisce con l’essere la composizione della Corte Costituzionale, la cui composizione è proposta in quindici giudici, dei quali cinque ancora nominati dal Presidente della Repubblica, che, però, non avrà le garanzie di ampia rappresentanza del popolo italiano, come dirò dopo. Cinque ancora dalla magistratura, cinque da Camera e Senato: è evidente l’accentramento in mano a chi detiene il potere.
Ridimensionamento della figura di garanzia del Presidente della Repubblica.
L’abbassamento del numero di voti necessari per eleggere il Presidente della Repubblica non garantirà un Presidente che ha il mandato da più componenti del Parlamento, e, pertanto, sarà il Presidente della maggioranza. Non potrà così essere davvero super partes ed espressione del popolo italiano.
Da almeno trent’anni si sta parlando di eliminare il bicameralismo perfetto, di cancellare le Province e il CNEL, di dare più stabilità al governo, in ultimo, dopo la riforma costituzionale del 2001, di rivedere i poteri delle Regioni, e cioè il famoso titolo V della Costituzione. Perché allora votare NO?
La Costituzione della nostra Repubblica nasce da un’ampia condivisione fra soggetti diversi del nostro paese all’indomani del ventennio fascista. Per chi contestualizza esasperatamente il contesto, io dico di ritrovare lo spirito unitario. Non è possibile modificare la Costituzione in larga parte se non si ritrova questo spirito, che coinvolga l’intero paese anche attraverso il coinvolgimento delle associazioni di rappresentanza, quei corpi intermedi, che furono importanti anche nel dopoguerra per ricostruire il paese e che oggi si tende a svuotare di funzioni e significato.
Si tradiscono proprio i principi fondamentali della nostra Costituzione.
Ecco perché votare NO: la costituzione è un corpo complessivo che va tenuta in armonia. Le proposte di modifica della Costituzione, ridimensionando gli spazi di democrazia, vanno in contrasto con i principi definiti nella prima parte della stessa. È il serio rischio di avere una costituzione “schizofrenica” tra le grandi aperture ideali dei principi e i nuovi testi che riducono gli spazi di democrazia.
Fa un certo effetto vedere uniti per il NO Salvini e Grillo, Berlusconi e Zagrebelsky, Meloni e Ingroia, ma anche D’Alema e Fini, De Mita e Cirino Pomicino, Brunetta e Cofferati, e via di questo passo. Non crede che ciò ingeneri confusione ma soprattutto che un certo mondo politico vuol restare appollaiato in qualche modo sul trespolo che ora si ritrova? Insomma, votare No non è un’occasione mancata per rinnovare il Paese?
Certo, l’ “accozzaglia”, come ha definito con arroganza il presidente Renzi i sostenitori del NO, fa un po’ impressione, e i furbi che tendono a voler mantenere posizioni ci sono di sicuro. Ma questo anche sul fronte del SÌ.
Per questo sono ancora più convinta che la riforma della Costituzione non possa avvenire senza una condivisione democratica vera. Tra l’altro, cambiare 47 articoli non è cosa da poco.
Il clima politico oggi in Italia è di rissa, di parte, è scontro; questo non può favorire una riforma che avrebbe necessità davvero di avvalersi di una democrazia partecipativa. Chi vuole davvero il bene del paese, costruisce passaggi insieme agli altri, non contro.
L’occasione mancata, al momento, è questa: non aver dato al paese la possibilità di una discussione vera e partecipata. E ora il paese è spaccato.
Non crede che la vittoria del NO è un assist formidabile al Movimento 5 Stelle che sarà l’unico a beneficiare della sconfitta di Renzi?
Il Movimento 5 stelle sta battendo in lungo e largo la penisola per la sua campagna sul NO. Ma non è l’unica forza democratica di questo paese a fare campagna per il NO, per fortuna. L’organizzazione della quale faccio parte, la CGIL, sostiene convintamente il NO al referendum. E non può essere il timore di una crisi e di elezioni anticipate che possono essere vinte dai 5 Stelle a motivare l’ennesimo “turarci” il naso e votare il meno peggio. Si vota sulla Riforma della Costituzione e, senza retropensieri o timori, se vince il NO è acclarato che la proposta di Riforma non convince. Basta.
Secondo lei la riforma costituzionale di Renzi è diversa da quella di Berlusconi del 2006?
Evidente, fra le due proposte, la contrapposizione tra accentramento dei poteri della Riforma Renzi e la devolution della riforma Berlusconi. Infatti la proposta di Berlusconi rispondeva alla forte istanza della Lega che chiedeva una Costituzione che sancisse il federalismo nella nostra Costituzione, con un pezzo della legislazione completamente a carico delle Regioni su scuola ed organizzazione della sanità. Nella riforma di Renzi il ruolo delle Regioni viene di fatto ridimensionato, nonostante il Senato divenga Camera delle Regioni.
Nota allarmante, per me, di entrambe, il ridimensionamento della figura del Presidente della Repubblica e il rafforzamento del Premier (Berlusconi) o del Governo (Renzi).
In tutta onestà, cosa salverebbe della riforma costituzionale per cui chiede di votare contro il 4 dicembre?
L’abolizione del CNEL. Troppo poco per sentirmi vicina a quelli del SÌ.
Di certo, rivedere i compiti di Camera e Senato e le funzioni di Regioni ed enti territoriali, può essere terreno stimolante per un confronto ed una sintesi che metta insieme efficienza e rappresentanza.
Un’ultima domanda. Quella del referendum più che sul merito della riforma costituzionale, è un voto pro o contro Renzi. Insomma, il 4 dicembre votare NO per liberarsi dell’attuale premier?
Votare NO per ribadire che la nostra carta d’Identità, la Costituzione, non può essere modificata e falsata nella sua natura con un colpo di mano.
Certo, è l’attuale presidente del consiglio che, personalizzando, chiede un voto sul suo operato. A me basta esprimere finalmente un NO su una delle “controriforme” di questo governo.
Non l’ho potuto fare sul Jobs Act, non l’ho potuto fare su “La buona scuola”, ora voto almeno per dire NO a questa proposta.
Se dovesse vincere il NO, il governo non dovrebbe solo interrogarsi, ma dare una risposta concreta alla volontà popolare.
Una volta i governi di questa Repubblica, mai stati a matrice marxista-leninista, andavano in crisi dopo uno sciopero generale. Ora non si presta orecchio a nessuna istanza popolare.
Se si è alzato lo scontro sociale nel nostro paese, non l’hanno fatto i cittadini, ma la politica che si è chiusa negli interessi di parte (vedi la difesa, con decreti specifici, delle banche). Aumentano gli estremismi, i cori razzisti, il maschilismo, anche dentro le istituzioni.
Ripeto, il paese è spaccato. E su questo referendum la campagna per il SÌ la fanno persone in buona fede, ma sopratutto quelli che oggi detengono il potere e mantengono un sistema di controllo (vedi Confindustria, Banche). Qualche ragionevole dubbio viene.