Referendum, Guido Milanese: “Se vince il NO ci troveremo in un buco nero”
Docente di neuropsichiatria alla Seconda Università di Napoli, autore di numerose ed importanti pubblicazioni scientifiche, per ben due mandati Presidente della Croce Rossa Italiana, Guido Milanese è un politico salernitano ma di respiro nazionale, già deputato di Forza Italia dal 2001 al 2006. In questa campagna referendaria, l’onorevole Guido Milanese è schierato con il SI.
Potrebbe dirci almeno tre buone ragioni perché si dovrebbe votare per il “Sì”?
Il primo motivo è che bisogna andare avanti, riformare la struttura elefantiaca delle dinamiche legislative, bisogna rivoluzionare; in definitiva, superare la situazione di stallo, quale quella attuale, attraverso delle modifiche e delle riforme.
La seconda motivazione è che la riforma interviene soltanto sulla seconda parte della Costituzione, quella organizzativa. La struttura portante della stessa, che è la prima parte, rimane invariata rispetto al volere dei nostri padri costituenti.
La terza motivazione è che su questa riforma c’è stato un voto generalizzato nelle commissioni, anche da parte delle opposizioni; quindi si era d’accordo sostanzialmente sulle varie caratteristiche che questa riforma portava in sé, tanto è che in commissione era stata votata a larga maggioranza anche da molti che oggi rappresentano il volto del no.
Non sarebbe meglio eliminare completamente il Senato, oppure mantenerlo in vita con elezione diretta in un sistema comunque di bicameralismo non perfetto e con una consistente riduzione sia di deputati che senatori?
Illuminati costituzionalisti si sono divisi nelle valutazioni del sì e del no alla riforma; pertanto, è chiaro che non è tutto oro né da parte del si è né da parte del no. Di conseguenza, io non me la sento di difendere tout court le ragioni del sì; anzi, sostengo che si poteva fare di meglio. Qualsiasi riforma è suscettibile di miglioramento; non esiste la riforma perfetta perché essa nasce da una serie di mediazioni tra le forze politiche e, per questo, deve trovare un comune sentire, cosa che in qualche modo è accaduta. L’aver attribuito, successivamente, delle etichette politiche alla riforma stessa, ha generato una profonda frattura nel mondo politico. Tuttavia, pur potendo fare di meglio, la riduzione di duecento senatori rappresenta un segnale forte della volontà di cambiamento. Inoltre, la soppressione della navetta dell’iter legislativo rende più veloce l’iter stesso con una evidente ricaduta positiva sulla efficienza e sulla efficacia della macchina legislativa. Molto importante è anche il coinvolgimento dei consiglieri regionali nelle decisioni nazionali, di cui si parla, peraltro, dal 2001. Coinvolgere le autonomie locali nell’intervento decisionale è un fatto assolutamente positivo.
Una delle critiche più rilevanti è che il combinato disposto di riforma costituzionale e nuova legge elettorale, ovvero l’Italicum, porti ad una modifica della forma di Stato. In pratica, al governo del capo. Pericolo reale?
Assolutamente no. Forse questa è una delle cose rispetto alle quali credo non ci sia l’ombra della preoccupazione per diverse ragioni. La prima è che l’Italicum è già superato, tant’è vero che Renzi stesso ha dichiarato apertamente che sarà modificato. Tra l’altro anche la componente di area popolare, a cui io appartengo e che funge un po’ da contrappeso alle decisioni di questo governo, si è orientata verso una modifica dell’Italicum, tant’è vero che si va verso una riforma elettorale che probabilmente tenderà al proporzionale puro, oppure ad una sorta di “Mattarellum” con i collegi. Quindi, questo naturalmente determinerebbe una situazione ex novo che assolutamente smantella quella paura di cui discutevamo. L’Italia, tra l’altro, ha una serie di pesi e contrappesi come la Magistratura, la Presidenza del Consiglio, della Repubblica e la Corte Costituzionale.
Si parla di risparmio grazie alla riforma costituzionale con la modifica della nuova struttura del Senato e l’abolizione delle Province, di fatto già quasi smantellate del tutto. I costi della politica, invece, non possono essere davvero contenuti riducendo sensibilmente le indennità e i benefit parlamentari nonché diminuendo il loro numero complessivo?
Certamente, io sono uno di quelli che ritiene che uno degli elementi sui quali andrebbe revisionata la spesa pubblica è la eliminazione dei grandi carrozzoni, che non hanno più ragion d’essere, come il CNEL. Allo stesso modo la riduzione del numero dei parlamentari e degli appannaggi degli stessi. E’ chiaro che questa riduzione di spesa deve essere allargata anche a tutto ciò che attiene gli apparati burocratici dello Stato.
Certamente il procedimento di revisione costituzionale è complesso e politicamente irto di ostacoli e impedimenti. Tuttavia, non crede che sia fondata l’accusa di una riforma assai raffazzonata?
Le critiche sono sempre valide nel momento in cui sono propositive. Noi ci troviamo in una situazione nella quale oggi, se non avvenisse questa riforma, ci troveremmo in un buco nero attraverso il quale, probabilmente, non otterremo, se non a distanza di decenni, alcuna possibilità di modifica della struttura dello Stato. Quindi, naturalmente questa è la condizione, a mio avviso, sulla quale bisogna orientarsi. Dobbiamo considerare gli altri Paesi europei e non solo. A livello internazionale c’è una considerazione del fatto che, se l’Italia non comincia a modificare la struttura portante di questo segmento della Costituzione, rimane in una sorta di impasse: ci troveremmo in una situazione di grave difficoltà perché dovremmo andare ad elezioni anticipate, fare una struttura transitoria di governo per modificare la legge elettorale, con una inevitabile caduta, quindi, di credibilità nei confronti dell’imprenditoria estera. Pertanto, ritengo opportuno andare avanti per ottenere vantaggi, sebbene parziali.
In tutta onestà, ci dice un punto della riforma costituzionale su cui quelli del “No”, a suo avviso, potrebbero avere ragione o, se preferisce, c’è qualcosa della riforma che non condivide appieno?
Ritengo che 47 articoli modificati in un unico sì, o in un unico no, sono una difficoltà per il cittadino che deve esprimersi su un unico quesito. Però, andando ad una valutazione più precisa, dobbiamo dire che i parlamentari hanno votato su questo complesso e su questa omogeneizzazione dell’intero apparato della riforma stessa. Detto questo, sarebbe inopportuno che i cittadini dovessero votare in modo diverso. Tra l’altro si correrebbe il rischio dell’approvazione di alcuni articoli che entrerebbero in contrasto con altri, con il risultato di una riforma schizofrenica. Pur ritenendo che una segmentazione degli articoli, al momento del voto, potesse essere un elemento democratico di valutazione, tuttavia, devo riconoscere difficoltà e limiti per l’uniformità della riforma stessa.
Un’ultima domanda. Quello del referendum, più che sul merito della riforma, sembra, sempre più, essere un voto pro o contro Renzi e la riforma costituzionale diventa solo un pretesto. Cosa succederà dopo il 4 dicembre qualora vinceranno i “No”?
Dopo il referendum ci sarà una probabile salita al Colle del Presente del Consiglio che, insieme al Presidente della Repubblica, valuterà le opportunità politiche. Bisogna considerare, però, che l’attuale maggioranza, e anche parte della maggioranza schierata per il no, ha ultimamente dichiarato che non avrebbe lasciato l’incarico: ciò significa che questo schema di maggioranza rimarrebbe integro, e quindi potrebbe naturalmente continuare a lavorare politicamente. Ma è chiaro che, di fronte ad una sconfitta sostanziale e politica, Renzi potrebbe offrire le proprie dimissioni. Siccome non esiste altra maggioranza, è probabile che venga ridato il mandato a Renzi che, a quel punto, dovrà traghettare questa transitorietà promuovendo la riforma elettorale e poi andando al voto entro 6 mesi. È chiaro che questo è uno scenario possibile ma sarà poi il Capo dello Stato a valutarlo. (foto Gabriele Durante)