Oltre ad una nuova legge elettorale, provare a dare il voto ai diciottenni per l’elezione del Senato, ma anche una legge costituzionale per abolire le Province e il Cnel
Il brutto verso che ha preso da un bel po’ la politica italiana di torcere il dibattito pubblico secondo i desideri dei suoi leader e non secondo i bisogni del paese, rischia anche in questa nuova stagione (fredda, in verità, come quella di prima) di squassare tutto.
Prendiamo l’invocazione alle urne che si leva da più parti, anche se con diversa intensità e convinzione, ognuno immaginando di profittare delle difficoltà dell’altro. Siamo a pochi giorni dalla sentenza della Corte costituzionale che dovrebbe scandire, secondo alcuni, il cont down della fine anticipata della legislatura.
Qualcuno vorrebbe giugno, massimo ottobre, forse trascurando di considerare che, per poter celebrare le elezioni a scadenza naturale entro la metà di febbraio del 2018, il Presidente Mattarella dovrebbe comunque sciogliere le Camere a dicembre di quest’anno. Parliamo, dunque, di una manciata di settimane tra una data e l’altra. Al netto, allora, del “cui prodest” la vertigine dell’urna, si tratta di capire se davvero non si possa utilizzare al meglio il tempo restante in questa legislatura (dieci/unici mesi), per fare qualcosa di senso per il Paese, senza farsi travolgere né dalla frenesia della revanche né dal penoso trascinamento del tirare a campare.
Una prima necessaria cosa da fare è, ovviamente la legge elettorale. La Consulta dirà la sua tra qualche giorno ma si illude chi pensa che la politica potrà fare solo “copia e incolla” della sentenza per andare al voto con quel che resterà dell’Italicum. Il coordinamento tra i sistemi elettorali tra Camera e Senato si renderà necessario per evitare una distonia tra i risultati. E nel coordinamento necessario andrebbe messa anche una legge costituzionale che consenta il voto dei diciottenni al Senato: il voto riservato ai 25enni è un’anacronismo del tutto privo di senso che sottrae a 4 milioni e mezzo di italiani il diritto che la Costituzione riconosce alla Camera. A chi obietta che ci vorrebbe tempo per la procedura di riforma costituzionale, ricorderemmo che la riforma dell’art.81, nell’era Monti, è stata fatta in soli sei mesi e non tutti erano a battere le mani in Parlamento. Andrebbe fatta una verifica tra i gruppi politici e, se c’è la condivisione sul tema che tutti dicono di avere, si può procedere velocemente.
E, visto che parliamo di accordo e di riforme costituzionali, sarebbe il caso di provare a capire se anche l’abolizione delle Province e del Cnel può trovare un terreno d’intesa. In fondo, sia i sostenitori del sì che quelli del no al referendum di dicembre almeno su questo dichiaravano di concordare.
Sul piano delle cose che il Parlamento può fare ci sarebbe anche una base minima di riforme regolamentari per rendere lo stile di vita delle Camere meno simile ai riti in uso a Bisanzio. Un piccolo nucleo di riforme condivise ( è possibile che alla Camera occorra fermare tutto per 24 ore quando c’è un voto di fiducia?) può essere varato con beneficio dei contemporanei ma soprattutto dei posteri.
Troppo ambizioso un programma così? In realtà, l’unica ambizione che ha è di utilizzare al meglio il tempo fino alla fine della legislatura. Lavorando sulle cose possibili con un po’ di buon senso.
Troppa fiducia nel buon senso?
Pino Pisicchio
Presidente del Gruppo Misto alla Camera dei deputati