Premiata la scommessa di Fratelli d’Italia, è l’ora delle responsabilità
Il risultato uscito dalle urne ha premiato la coerenza ed ha punito le ambiguità.
Nei numeri si leggono, da una parte, la vittoria di FdI condotti da Giorgia Meloni e la rimonta del M5S guidato da Giuseppe Conte, e dall’altra la debacle della Lega di Matteo Salvini, il flop del PD progressista di Enrico Letta ed il dimezzamento di FI di Silvio Berlusconi.
A seguire ci sono l’affermazione di Azione del duo Calenda/Renzi, limitata al conseguimento di una minima rappresentanza, ed il nullismo di Impegno civico di Luigi Di Maio che non ritornerà in Parlamento.
Il quadro dei numeri si completa con due dati storici rappresentati dalla minima partecipazione al voto politico, fermatasi al 63%, e dal balzo al primo posto di una formazione di Destra, ritenuta dagli antagonisti pericolosa per un presunto Dna facistoide e perciò estranea al cosiddetto “arco costituzionale” artificiosamente riesumato per la conservazione di posizioni di potere e non come alternativa programmatica.
La crescita di FdI, sestuplicando il consenso raccolto nel 2018, ha fatto da traino per la vittoria del centrodestra, fotografa un riposizionamento di fiducia nell’elettorale di riferimento e segna una nuova gerarchia politica nell’ambito della coalizione, al di là di qualsiasi valutazione, ricorrente in campagna elettorale, di genere, generazionale, di esperienza di governo o di radici storiche in camicia azzurra o nera.
Più che una novità di simboli e colori, si tratta di una svolta nei sentimenti di un Paese reale che richiede senso di responsabilità per chi dovrà assumere per mandato popolare la leadership di Palazzo Chigi e per chi, sempre per delega popolare, ne dovrebbe controllare o contestare l’operato, come si addice in una normale democrazia parlamentare dell’avvicendamento, piuttosto che dell’inciucio consociativo o delle transumanze per convenienze personalistiche.
Si spera nella maturità e capacità del personale politico del nuovo Parlamento a pensare in positivo ed a rinunziare a rivalse con mobilitazioni di piazza, a desistere dalla pratica delle denigrazioni sui media nazionali ed internazionali o dall’orchestrare sgambetti nelle interlocuzioni istituzionali. Si tratta di non ritornare su vizi già visti e praticati nella trentennale esperienza della seconda Repubblica del bipolarismo, incompiuto e bastardo, sfociato in ben quattro commissariamenti delle dinamiche parlamentari, con il ricorso a Premier di estrazione accademica o bancaria.
Mai come in questo momento storico l’Italia ha bisogno di cimentarsi in prospettive politiche, trovandosi sotto le lenti del mondo, come osservata speciale in presenza di una guerra nella quale sono in ballo nuovi assetti geopolitici.
Ci sono scadenze ed appuntamenti da onorare con coerenza e chiarezza nelle relazioni internazionali e con spirito patriottico e non nazionalistico con i partner europei. Sul punto si giocano interessi reali e bisogni per i quali si attendono risposte di prospettiva e non di assistenza per il mondo del lavoro e delle imprese, e soprattutto in quello giovanile.
Acquisito il risultato elettorale, scatta ora il momento dell’assunzione delle responsabilità, il cui onere dovrebbe ricadere sulle spalle di Giorgia Meloni, come leader della forza politica più votata.
E non può non essere condivisa è supportata lealmente dai partner della coalizione da lei trainata alla vittoria. Sembra scontato, ma non troppo, stando alla pratica di tergiversanti sgambetti tirati in precedenti occasioni. Intelligenti pauca.