L’Islam radicale crede che, per amore del bene, bisogna imporre il burka alle donne e lapidarle se commettono adulterio. Agghiacciante. Il fatto è che ciò che ad uno appare essere il bene, per un altro è invece il male. I concetti di bene e di male sono relativi. Se l’Islam si proponesse di imporre per via legislativa i precetti della sua fede a tutti i cittadini, ci ribelleremmo con ogni mezzo. Tu sei islamista e credi nei tuoi precetti, e va bene. Non pretendere però di imporli a me!
Il grande vantaggio della democrazia è la convivenza pacifica tra i diversi punti di vista, che si incontrano, scontrano, dialogano, trovano infine mediazioni e producono leggi, alle quali sono tenuti ad attenersi tutti, anche chi non le condivide. Ciò se restiamo nella sfera dello Stato laico.
Nella chiesa, al contrario, non trova albergo il relativismo. Il magistero del vicario di Cristo, per un cattolico, è verità incontrovertibile. Ciò porta a volte ad uno stridente contrasto tra le posizioni dei cattolici e quelle dello Stato laico.
Un esempio. Per i cattolici il matrimonio, consacrato nel rito religioso, è indissolubile. Un cattolico non si reca da un giudice umano perché sciolga ciò che Dio ha unito. Eppure, se si dovesse riproporre il referendum del 1974, tanti cattolici come me voterebbero, di nuovo come allora, in difesa della legge che legalizza il divorzio. Nel mondo cattolico – che è anche il mio mondo – è infatti largamente condiviso il rifiuto dell’integralismo. Una cosa è il nostro rispetto dei principi fondanti della nostra fede, altra la loro imposizione agli altri con la forza della legge. La più grave minaccia per la libera convivenza tra credenti, atei, agnostici e credenti di diverse confessioni, è l’assimilazione sotto un unico rispetto dei peccati e dei reati.
Vale anche per l’aborto, anche se, in questo caso, le implicazioni morali sono ancora più stringenti per noi cattolici. Papa Bergoglio si è reso inviso recentemente ai progressisti del mondo occidentale con il suo pesante intervento in tema di aborto in occasione dell’Udienza Generale dello scorso 10 ottobre: «Io vi domando: è giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema? Cosa pensate voi? È giusto o no? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Non si può, non è giusto fare fuori un essere umano, perché piccolo, per risolvere un problema: è come affittare un sicario per risolvere un problema».
L’equiparazione tra aborto ed omicidio è apparsa ai progressisti – ed anche questo è il mio mondo -una grave intromissione del Capo della Chiesa nella sfera delle leggi civili. Peraltro essa è apparsa in parziale contraddizione con quanto, appena poche settimane prima, aveva affermato il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, card. Bassetti : “Non possiamo dire che la 194 sia una buona legge. Come Chiesa ne abbiamo visti sempre i limiti, ma è comunque una buona normativa, che pone dei limiti rispetto al relativismo totale sull’embrione e sulla vita”.
La Chiesa – le parole di Bassetti lo documentano ampliamente – riconosce quindi la supremazia nel campo civile delle norme del diritto positivo, frutto di mediazioni tra diversi punti di vista. Non rinuncia però al suo magistero morale. È chiaro che per i cattolici l’aborto sia un peccato grave, perché negazione del diritto alla vita di un essere umano, sia pure in embrione. Ed è giusto che essi difendano con forza questa concezione. Ma ciò che vale per noi cattolici non può valere sic et simpliciter come norma dello Stato. Né io credo che Bergoglio abbia voluto dire ciò. Tutt’altro.
Il pontefice – a mio avviso – ha inteso solo rilanciare nel dibattito pubblico il tema del valore della vita: “Tutto il male operato nel mondo si riassume in questo: il disprezzo per la vita. La vita è aggredita dalle guerre, dalle organizzazioni che sfruttano l’uomo, dalle speculazioni sul creato e dalla cultura dello scarto, e da tutti i sistemi che sottomettono l’esistenza umana a calcoli di opportunità, mentre un numero scandaloso di persone vive in uno stato indegno dell’uomo. Questo è disprezzare la vita, cioè, in qualche modo, uccidere”.