Marco Senatore: “Sì ad un’accoglienza sostenibile, no all’ipocrisia buonista”
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
In città si è sviluppato in questi giorni un acceso dibattito, per certi versi anche troppo soprattutto sui social, sull’iniziativa di Città Unità di promuovere una petizione popolare per contrastare l’arrivo di altri migranti sul territorio comunale metelliano. Appare, in questo contesto, utile qualche riflessione non fosse altro per contribuire a stemperare i toni e a cercare di focalizzare i giusti termini della questione.
In primo luogo, sembra evidente che la questione esiste ed è complessa e delicata, motivo per cui lasciano il tempo che trovano certe prese di posizioni pregiudizialmente pro e contro questo drammatico e sempre più incontenibile fenomeno migratorio.
Sembra altrettanto evidente che l’iniziativa dei Città Unita non è affatto mossa da motivazioni razzistiche e xenofobe. Il problema di fondo non è l’accoglienza in sé, che è un principio umanitario e cristiano non discutibile. La questione è un’altra, ovvero fino a quando il nostro Paese, la nostra comunità nazionale e, di conseguenza, le diverse comunità locali, possono sostenere un simile urto migratorio dalle proporzioni sempre più crescenti e incontrollabili?
In discussione, infatti, è la qualità della nostra vita nel suo complesso, non solo in termini di sicurezza. Non possiamo, infatti, continuare ad atteggiarci a fare i buon samaritani facendo finta, anzi, mettendo la testa nella sabbia, di non vedere come un’accoglienza senza limiti significa far saltare la nostra convivenza civile. Occorre, quindi, avere l’onestà di riconoscere che dobbiamo puntare sì all’accoglienza, ma ad un’accoglienza sostenibile, cioè sopportabile dal nostro sistema di vita, dalla nostra capacità socio-economica.
In questo contesto come si inserisce, o meglio che senso ha l’iniziativa di Città Unita?
E’ indiscutibile che la questione migranti non la risolve una petizione popolare così, allo stesso modo, visto che va di moda, costruendo un muro di cinta. Sta di fatto, però, che neanche le comunità locali interessate devono restare passive e/o accondiscendenti rispetto alle scelte operate dal governo centrale. No al razzismo, quindi, ma no anche all’arrivo di migranti sul territorio del nostro comune, quantomeno non con l’assenso della popolazione e delle autorità comunali.
Per farla breve, se ogni comunità locale alzasse la voce e contrastasse la politica governativa dello Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), allora cambierebbe anche l’atteggiamento e la politica del governo, alla stessa stregua di come le decisioni del nostro paese e degli altri incidono sulla politica dell’accoglienza, o se si preferisce della non accoglienza, finora adottata nei fatti oltre che nella parole dell’Unione Europea.
In questo senso, diciamo tutta la verità e togliamo la maschera ai buonisti a buon mercato che ci propinano sui giornali dichiarazioni e prese di posizioni favorevoli ad una accoglienza senza se e senza ma.
Il sindaco Servalli, tanto per essere chiari, più che all’interesse di tutelare la comunità cavese appare piuttosto, sbagliando di grosso, assai più interessato a salvaguardare e accrescere il proprio prestigio e la propria posizione politica all’interno dell’Anci, l’associazione nazionale dei comuni italiani, la quale ha raggiunto con il ministro dell’Interno Marco Minniti l’accordo sulla distribuzione dei migranti sul territorio, attraverso un riparto tra i Comuni che aderiscono su base volontaria allo Sprar.
E’ facile intuire che il sindaco Servalli si guarderà bene dallo scontentare l’Anci di cui ora fa parte negli organismi rappresentativi a livello nazionale. Altro che opporsi, quindi da parte di Servalli, bensì è giocoforza immaginare la logica scelta conseguenziale di aderire allo Sprar, e cioè accogliere un bel po’ di migranti nella nostra città alla faccia delle preoccupazioni dei cavesi.
Per quanto riguarda la Chiesa, va dato atto dell’impegno su campo della Caritas e delle numerosi associazioni di ispirazioni cattoliche. Quest’azione, però, per quanto significativa e lodevole, è di supporto e di sollievo all’accoglienza, ma non è diretta accoglienza. Non a caso, è proprio Papa Francesco a chiedere ai suoi di aprire le chiese nella consapevolezza che l’accoglienza è molto predicata ma poco o nulla praticata dal clero. Alla Chiesa locale, quindi, che almeno a parole è per l’accoglienza, chiediamo di dare un esempio concreto di ospitalità, di aprire le porte delle chiese della diocesi e di ospitare, a proprie spese e delle varie comunità parrocchiali, i migranti, i profughi in particolare.
Insomma, come ha fatto Papa Francesco, sarebbe assai bello, ma soprattutto costituirebbe una testimonianza concreta di accoglienza sincera, se nel Chiostro del Paradiso di Amalfi il nostro amato Vescovo accogliesse qualche famiglia di profughi.
Lo stesso discorso vale per alcune associazioni del territorio, che su alcuni temi affilano le armi per bacchettare a destra e a manca. Peccato che si tratti, quasi sempre, tranne poche eccezioni, di sodalizi molto autoreferenziali, costituiti da borghesi benpensanti con la pancia piena e il conto in banca sufficientemente pingue da consentire loro vacanze sulla neve o sulle spiagge del Kenia e le migliori università per i loro figli. Una sensibilità e una generosità verso l’accoglienza, però, solo di maniera e soddisfatta esclusivamente con risorse pubbliche, sottratte ad altre esigenze e necessità dei cittadini italiani. Una sensibilità e una generosità che, non a caso, contrasta con le preoccupazioni di milioni di italiani di arrivare a fine mese, di recuperare i quattrini necessari per curarsi i denti, di assicurare un’istruzione adeguata, lavoro e un futuro ai propri figli.
Senza contare, in ultimo, il grande business dell’accoglienza, un affare di milioni di euro su cui hanno messo gli occhi un bel po’ di gente, finanche ambienti legati alla delinquenza.
Questo per dire che nel tranciare giudizi e dare patenti di razzismo o meno, si è tutti bravi, il problema vero è fare gesti concreti e affrontare il problema con onestà intellettuale. E, allora, quando si vuole parlare di accoglienza ai migranti sarebbe cosa buona e giusta liberarsi non solo da pregiudizi ma anche dal fariseismo, oltre che da luoghi comuni, posizioni di rendita o di interesse.
Detto ciò, sì all’accoglienza a condizione che questo fardello sia equamente suddiviso non solo tra i diversi comuni, ma soprattutto tra i diversi stati europei. Fino a quando questo non avverrà, fino a quando non ci sarà una politica europea dell’accoglienza, mi sembra giusto lottare per salvaguardare la nostra piccola realtà. Non alzando muri, ma sollevando i problemi e le coscienze. Anche con una semplice petizione popolare, che vuole essere una presa di coscienza e di contrasto, quantunque piccolo ma consapevole, nel mare magnum di un’ipocrisia buonista che sta portando allo sfascio il nostro Paese e la sua convivenza civile.
avv. Marco Senatore
presidente Civitas 2.0