Lo scampato pericolo del Pd e la sconfitta di Salvini

Il governatore uscente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini vince in modo netto e chiaro e salva dalle ambasce il Pd, che risulta essere il primo partito non solo in Emilia-Romagna, ma anche in Calabria, dove però subisce una pesante sconfitta ad opera della forzista Jole Santelli, eletta presidente con venticinque punti di distacco dal candidato del centrosinistra.
In parole povere, il responso delle urne per il Pd si è rivelato essere un bel sospiro di sollievo. La paura di perdere con la Lega in Emilia-Romagna si era trasformato a poco a poco in un incubo. E’ comprensibile, anche se magari può apparire eccessivo avendo comunque perso un’altra regione, l’entusiasmo e la gioia che traspare in modo evidente dalle dichiarazioni di Zingaretti e degli altri esponenti del Pd. Non era facile, infatti, fermare la Lega di Salvini e il centrodestra, anche se in una regione tradizionalmente rossa e, tutto sommato, nonostante delle inevitabili criticità, ben governata, sviluppata e all’avanguardia com’è l’Emilia-Romagna.
Entusiasmo legittimo per lo scampato pericolo, che però non deve far dimenticare quelli che restano i punti deboli e le difficoltà del Pd. A cominciare dall’assenza di una leadership forte, in grado di riscaldare gli animi ed indicare nuovi orizzonti, così come dall’incapacità di essere una forza politica rinnovata, centrale e credibile di un’alleanza larga di centrosinistra. In altre parole, dar vita ad un nuovo schieramento riformista e progressista capace di fornire risposte più concrete e meno preconfezionate alle istanze che vengono dal paese, soprattutto da quella parte che con superiorità, a volte anche antropologica, viene chiamata la pancia. E, per finire, dare una prospettiva alle responsabilità dell’attuale governo, il quale finora ha più che altro balbettato e dove la turbolenza ha prevalso sulla concretezza.
Una contentezza, quella del Pd, che non deve fargli sottovalutare il collasso elettorale degli attuali alleati di governo, i cinque stelle, ormai prossimi alla liquidazione, ma anche altri due elementi di non poco conto. Il primo, l’attuale governo poggia su una maggioranza parlamentare che non trova oggi riscontro negli umori elettorali del Paese. Il secondo, il centrodestra è una coalizione sufficientemente coesa che ha un consenso al momento maggioritario. Questo per dire che per il Pd la strada da percorrere è lunga ed in salita, anche ripida.
E veniamo al centrodestra. E’ indubbio che la sconfitta è indigesta soprattutto per Salvini che, forse con una foga smodata, ha puntato troppo in una regione dove, sopravvalutando la sua forza d’urto e le sue capacità di propaganda politica, credeva di avere migliore fortuna. Il risultato è che Salvini ha perso l’alone del capitano invincibile. Uno smacco, dunque, ma niente di più. Chi crede che da questa sconfitta cominci la parabola discendente di Salvini sbaglia di grosso. La Lega resta un osso duro, elettoralmente forte e sempre più radicato e diffuso sul territorio nazionale. E la sua capacità attrattiva dalla sconfitta di ieri risulta appena scalfita. D’altro canto, ha ottenuto nella più rossa delle regioni un consenso che supera il trenta per cento, qualcosa di semplicemente inimmaginabile appena pochissimi anni fa.
Qualche insegnamento Salvini e i suoi da questa sconfitta lo debbono però trarre e cogliere l’occasione per qualche riflessione. In primo luogo, il leader leghista forse dovrebbe riconsiderare la sua strategia, nel senso che dall’estremizzazione della proposta politica ha forse ottenuto il massimo dei consensi, in pratica, un terzo degli italiani sono con lui, ma per crescere deve puntare ad altri bacini elettorali più vicini a quello della destra.
Insomma, se vuole ancora crescere elettoralmente deve puntare a guadagnare il voto dei moderati, che tuttora lo guardano con sospetto se non proprio con il fumo negli occhi. Sì, perché se è vero che in questi ultimi anni il ceto medio si è assottigliato ed impoverito, è altrettanto vero che una buona parte di esso non gradisce, anzi, rifugge da certi eccessi comportamentali di Salvini. In altre parole, non è insensibile del tutto alle sue idee, ma pretende maggior senso delle istituzione, più sobrietà, e soprattutto non apprezza atteggiamenti sopra le righe e più ancora le smargiassate salviniane. In altre parole, porre i moderati nella condizione di votare Salvini senza doversene vergognare.
Per questo, Salvini farebbe bene a smussare gli angoli, abbandonare quegli atteggiamenti volutamente maleducati e trasgressivi oltre che aggressivi, smetterla di proporsi con la faccia cattiva. In breve, imparare ad essere il rappresentante di una destra moderna e civile.
Una riflessione, infine, farebbero bene a farla anche i leghisti locali in vista delle prossime amministrative comunali e regionali. Un bagno di umiltà non guasterebbe, nella consapevolezza che non si è vincenti a prescindere, non basta, insomma, l’onda lunga salviniana, ma che, al contrario, occorre essere credibili non solo con la qualità delle idee, ma anche e soprattutto con quella dei candidati.
Com’è accaduto adesso in Emilia-Romagna, ma anche in Calabria.