Non è una cosa semplice commentare l’intervista a Maria Di Serio, che oggi il nostro giornale pubblica proseguendo il suo viaggio sullo stato dell’arte e le prospettive della città metelliana. E non perché manchino gli spunti di riflessione, al contrario, ce ne sono fin troppi. Non è la prima volta che succede, in verità, è accaduto anche per altri intervistati, tuttavia, il taglio molto politico delle risposte formulate da Maria Di Serio ci ha indotti ad evidenziare troppi passaggi. Ne è venuta fuori quasi una cartina geografica. Non ci resta altro che rassegnarci a commentare solo alcune sue considerazioni, tralasciando le altre, sebbene siano la maggior parte.
Allora, partiamo da quelli che la Di Serio individua come i punti deboli della città, ovvero “l’incoerenza della classe politica che non riesce a creare una sintesi tra i vari aspetti positivi della città, incoerenza che impedisce anche alle menti più illuminate dell’imprenditoria e della cultura di operare al di là del proprio ambito di attività”. Sì, perché l’incoerenza, che immaginiamo sia un eufemismo allo scopo di non dire peggio, unisce politica ed imprenditoria passando per la cultura. In effetti, sarebbe troppo comodo -come spesso accade, a volte in malafede, spesso per superficialità, in altri casi per un comune ed assai approssimativo sentire- attribuire alla sola classe politica difetti, manchevolezze, responsabilità e via di questo passo, come se essa fosse qualcosa di avulso, un corpo estraneo alla società che la esprime. Così non è invece. I nostri politici, i nostri amministratori locali, non vengono da Marte, ma sono il prodotto della nostra comunità. Questo vale sia nel bene che nel male. E, in ogni caso, non certo per scusarli della pochezza di cui in molti sovente fanno bella mostra.
E Maria Di Serio va giù dura, a dispetto del suo aspetto angelicato, quando denuncia la presenza di “un’organizzazione settaria e familistica di alcune parti della società cavese, che non favorisce un dialogo ampio e aperto alla città”. C’è poco da commentare, non essendo altro che la foto molto realistica di una tipica cittadina del Meridione.
Non meno interessante e cruda è la risposta su un male cavese da debellare: “L’isolazionismo. Non siamo autarchici, abbiamo bisogno di maggiori connessioni e contaminazioni, in un rapporto osmotico col territorio intorno”. Possiamo darle torto? No, è solo una definizione molto politica di un malanno di cui buona parte dei cavesi ne sono sufficientemente consapevoli.
E le prospettive? Anche qui, viene fuori lo spirito critico e la cultura politica della Di Serio, quando esorta ad intraprendere un cammino di innovazione “per costruire, con uno sguardo verso il futuro, la nuova funzione della città in un contesto territoriale da riorganizzare”, dando così una scossa ad una città intorpidita.
Fermiamoci qui, perché, come dicevamo prima, c’è il rischio di dilungarci oltre il consentito. Non prima, tuttavia, di puntare l’attenzione sulla capacità critica dei cavesi che la Di Serio vorrebbe fosse salvata. Aggiungendo che essa però “oggi si spreca nel pettegolezzo invece che metterla al servizio degli interessi comuni”. E’ chiaro e condivisibile quel che afferma Maria Di Serio, tenendo presente sempre della lettura assai politica che lei dà della società cavese. Detto ciò, c’è da dire che quella di Di Serio è una visione un tantino nobile, nel senso che, come accade in tutte le cittadine di provincia, più che la critica regna l’inciucio, ma non da adesso e di sicuro non circoscritto assolutamente al solo ambito politico. D’altro canto, confessiamolo, ma i portici, i nostri portici, non sono stati sempre il regno dell’inciucio?