INTERVISTA SULLA CITTA’ Marco Galdi: “E’ necessario riprendere in mano in modo serio il governo del territorio”
Inizia con oggi il viaggio di Ulisse on line con una serie di interviste a personalità metelliane con al centro la città di Cava de’ Tirreni, con i suoi punti di forza e di debolezza, il suo stato dell’arte e le sue prospettive future. Il viaggio lo iniziamo con Marco Galdi, 52 anni, Sindaco di Cava de’ Tirreni dall’aprile del 2010 al giugno del 2015, attualmente consigliere comunale, capogruppo della Lista civica La Cava, ed esponente locale del movimento politico “Città in comune”.
Il suo impegno civile inizia da ragazzo, nelle file della Democrazia Cristiana, nelle cui liste è eletto consigliere comunale per la prima volta nel 1988, all’età di 22 anni. E’ avvocato abilitato al patrocinio presso le Supreme magistrature, con esperienza di difesa innanzi alla Corte costituzionale, al Consiglio di Stato ed alla Corte di Cassazione. E’ professore associato di Diritto Pubblico presso l’Università degli Studi di Salerno ed autore di svariati saggi e studi monografici su tematiche di interesse amministrativo.
Quali sono a suo avviso i punti di forza della città?
Diversi sono punti di forza di Cava. Solo per elencarne alcuni:
1) la Sua Abbazia ultramillenaria, dalla quale tutto ha inizio, e più in generale una storia ed una tradizione unica fra le città medie del Mezzogiorno d’Italia, da cui si è sviluppata una importante tradizione popolare di folklore;
2) un centro storico magnifico, con i suoi portici e le tante attività commerciali;
3) un forte sentimento comunitario di quanti abitano nelle nostre bellissime frazioni, ciascuna con le sue tradizioni e le sue feste;
4) una posizione strategica, al centro di un bacino turistico straordinario, a ridosso della Costiera amalfitana, patrimonio dell’umanità;
5) una risalente tradizione di città civile, culturalmente all’avanguardia, dove si vive bene, in sicurezza e tranquillità.
E i punti deboli?
Ne segnalo quattro:
1) uno sviluppo urbanistico, a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo, errato: prima eccessivo, con l’idea assurda di raddoppiare la popolazione residente, cui ha corrisposto la creazione di quartieri dormitorio (v. Gescal); successivamente troppo restrittivo, con l’adozione della legge regionale 35/87 (relativa al Piano Urbanistico Territoriale della Costiera Sorrentina e Amalfitana, nel cui comprensorio siamo stati inseriti), che ha finito per favorire l’abusivismo edilizio;
2) La perdita della posizione di centralità in un bacino di utenza sufficiente ad assicurare il mantenimento a Cava dei servizi: dall’ospedale, sempre più asfittico, ai collegamenti ferroviari, sempre meno funzionali, dal tribunale (solo assumendoci l’onere come Comune abbiamo potuto conservare il giudice di pace), all’Inps, per il quale ci è rimasto solo un piccolo sportello, all’agenzia delle entrate, ecc.;
3) una politica industriale che si è rivelata fallimentare, preda di speculatori, che ha distrutto una parte significativa delle nostre migliori zone agricole;
4) ovviamente, ma è una conseguenza, le sempre più scarse opportunità di lavoro per le nuove generazioni.
In prospettiva cosa serve alla città per crescere?
Difficile rispondere in modo sintetico. Ci provo andando all’essenziale, ma soprattutto sottraendo un po’ di spazio alle altre risposte. Segnalo quattro ricette:
1) riprendere in mano il governo del territorio in modo serio, non certo come sta facendo l’attuale amministrazione che si accinge a varare nei prossimi mesi un nuovo PUC, che è solo un “pezzo di carta” … ma come avevamo iniziato a fare con la modifica della legge regionale 35/87 – ottenuta da Giovanni Baldi quando era in Consiglio regionale nel 2014 -, che permetteva al nostro strumento urbanistico di derogare al PUT della Costiera Sorrentina e Amalfitana (purtroppo, nel 2016, nel silenzio generale, il governo De Luca ha ottenuto l’abrogazione di questa modifica). E magari aprire un dialogo per una pianificazione sovracomunale che coinvolga anche i Comuni di Nocera Superiore e Rocca Piemonte, dove andare a reperire utili standard urbanistici, in un coinvolgimento virtuoso di territori contigui dove vivono oggi moltissimi cavesi: prospettiva ambiziosa e dai tempi medio lunghi, certo, ma premessa indispensabile per ogni altro progetto serio di rilancio sul piano economico della Città;
2) puntare su alcune opere strategiche che ridiano centralità a Cava quale centro erogatore di servizi in un bacino sufficientemente ampio, capace di comprendere fino a 150.000 abitanti (ovviamente senza aumentare il numero dei residenti a Cava, già forse eccessivo): il progetto della galleria per Maiori (quello presentato dall’Ing. Aniello Casola, per conto del Comune di Maiori, mi pare molto interessante), così come il completamento della viabilità iniziata con il sottovia veicolare e la copertura del Trincerone ferroviario fino all’innesto di Via Arte e Mestieri vanno in questa direzione. Si tratta di due iniziative complementari che vanno pensate e realizzate di pari passo: una progettualità sostanzialmente già intuita dal Sindaco Abbro …. A queste due opere, strategiche per restituire a Cava la giusta economia di scala e per farla tornare ad essere centro erogatore di servizi di area vasta, aggiungerei, finalmente, la realizzazione della metropolitana leggera fra Salerno e Cava, anche con uno scambio in direzione di Mercato San Severino e dell’Università: ciò soprattutto in vista del rilancio, da tempo atteso, dello scalo aeroportuale di Pontecagnano, che può riversare in provincia di Salerno milioni di turisti in più all’anno, con le conseguenti ricadute in termini di presenze anche sul nostro territorio;
3) progettare almeno un paio di iniziative di riqualificazione urbana: penso alla “Cittadella della salute” all’uscita dell’autostrada (ma su un’estensione di 85.000 mq., come previsto nel PTCP) ed alla soluzione del contenzioso con la Maccaferri, per la restituzione alla città dell’ex manifattura tabacchi di Viale Crispi: due operazioni che potrebbero restituire ai cavesi quel migliaio di posti di lavoro, che fra impiego diretto e indotto aveva assicurato per generazioni l’industria del sigaro;
4) infine, ritengo necessario riconsiderare la partecipazione del nostro Comune all’Aria di Sviluppo Industriale. I lavori della Commissione controllo e garanzia stanno dimostrando che il numero di occupati nelle aziende insediate in area industriale è di gran lunga inferiore a quello originariamente programmato … insomma errare è umano, perseverare no!
Una cosa che su tutto lei ritiene sia per la città una piaga da curare, un male da debellare?
Il male peggiore del nostro Mezzogiorno, che affligge anche Cava, è la disoccupazione dei giovani: toglie la speranza nel futuro e fa scappare altrove le energie migliori … con il tempo questa piaga può distruggere la nostra comunità …
Guardando oggi la città, cosa vorrebbe che tornasse dal passato?
L’impegno nel governo cittadino di quella parte della società cavese più attiva, illuminata e culturalmente attrezzata, che ha contribuito in modo determinante alla crescita di Cava almeno fino alla seconda guerra mondiale.
E del presente cosa salverebbe?
Quel ceto imprenditoriale che, nonostante mille difficoltà, è riuscito a crescere ed a consolidarsi: veri eroi del lavoro, da sostenere ad ogni costo.
Cosa invece butterebbe del passato e anche del presente?
Il taglia e cuci: una volta si praticava sotto i portici; oggi su fb. Mi piacerebbero concittadini che brontolassero di meno, bollassero di meno per partito preso quanti si impegnano per la comunità e provassero, se non ad impegnarsi in prima persona, quantomeno a capire la complessità della realtà cittadina.
Ad un politico che si accingesse a governare Cava lei quale consiglio, suggerimento, indicazione darebbe?
Provare a vincere con a fianco un gruppo coeso, non improvvisato e animato solo da senso civico. Le grandi coalizioni, che mettono insieme partiti e gruppi disomogenei, facilmente consentono di raccogliere il consenso … ma poi costituiscono quel peccato originale che ineluttabilmente si sconta quando si va al governo.
E agli attuali amministratori comunali quale consiglio, suggerimento, indicazione si sentirebbe di dare?
Di ridurre la comunicazione sull’effimero (anche perché è inutile: la gente se ne accorge), di non pensare solo alla campagna elettorale che verrà e di iniziare ad occuparsi delle questioni reali della Città … ma forse è troppo tardi per dare questi consigli!
In una stagione politica senza partiti ideologici, ha ancora senso dirsi di destra, di centro o di sinistra? Se sì, cosa significa per lei essere di sinistra, di centro e di destra?
Io direi di si. Ma non nel significato che a queste espressioni si attribuiva nei decenni trascorsi. Ci insegna Stein Rokkan che si è di destra o di sinistra a seconda di come ci si posiziona d’avanti alle fratture della società, che al suo tempo erano essenzialmente quattro: il conflitto centro/periferia (la lega, ad esempio, nasce su questa frattura); il conflitto Stato/Chiesa (è il caso dei partiti confessionali); il conflitto città/campagna (all’origine dei partiti agrari); la frattura fra capitale e lavoro (da cui nascono i partiti socialisti e comunisti europei).
Oggi, con la globalizzazione, è davvero tutto cambiato. Personalmente ritengo in buona parte superata anche la frattura fra capitale e lavoro, vista la finanziarizzazione dell’economia e la scarsità del lavoro (donde la crisi del sindacato).
Le nuove fratture? Il rapporto Sud/Nord del mondo e la povertà.
Personalmente ho sempre ritenuto fondamentale il valore della dignità della persona umana, di tutti, senza distinzioni per il colore della pelle, per lo stato di salute, l’età, il sesso, ecc., affinché tutti possano vivere un’esistenza dignitosa.
Oggi credo che questo valore debba costituire il minimo comune denominatore di una nuova sinistra, che sia quanto più inclusiva possibile … ma in giro, francamente, di politica così ne vedo ancora poca.
In un’epoca come questa in politica contano più gli uomini o i programmi e le idee?
Non è solo un modo di dire: le idee – fondamentali !- camminano sulle gambe degli uomini.
Un’ultima domanda. Per definire Cava quali sono l’aggettivo qualificativo e/o il sostantivo che utilizzerebbe? E perché?
Cava è “civile”. Lo è per antica tradizione (era città demaniale, nel senso che dipendeva direttamente dalla Corona e non da un feudatario), ma deve esserlo anche per vocazione, perché la Sua civiltà, se riscoperta e coltivata, ne può ancora oggi definire l’identità, renderla attrattiva e quindi ambita, fiorente, viva.