C’è un clima di rissa e di scarsa dialettica sul PNRR. Si avvertono punte di pretestuosità ed anche di rancore fino ad una vera e propria disfida tra poteri dello Stato: quella ingaggiata dalla Corte dei Conti con il Governo.
Su un fronte c’è l’Esecutivo che, per rispettare i tempi imposti dall’UE, ha sospeso i controlli concomitanti prorogando i termini di vigenza di un Decreto legge emanato dal Governo Draghi sul quale la Corte dei Conti non aveva sollevato alcun disappunto.
Sull’altro fronte c’è lo stesso organo di magistratura contabile che rivendica il controllo concomitante in applicazione di una legge in vigore e che non era stata resa operativa per un decennio circa.
Sul punto si sono pronunziati costituzionalisti ed ex membri emeriti della Corte costituzionale che hanno ritenuto corretto il comportamento del Governo essendosi attenuto alle direttive dell’UE ed indicando ai magistrati contabili di appellarsi, qualora lo volessero, alla Consulta per dirimere la vicenda in materia di attribuzione di poteri.
Al momento si sa, per averlo dichiarato il Presidente della Corte, che a prescindere dal citato Dl, i controlli proseguiranno sulla gestione.
In questa atmosfera si sono incrociati al livello politico e parlamentare e nel mainstream dei mediasocial sequenze di velenosi botta e risposta piuttosto che prendere atto, al di là del colore dei singoli Governi, dei nodi di un sistema condizionato e/o bloccato dall’accumulo ultra ventennale di una legislazione farraginosa e ridondante incompatibile con la tempistica dell’EU: a proposito, quante risorse comunitarie non sono state spese o opportunamente utilizzate per carenza di progettualità e sovraccarichi giurisdizionali?
Si suole dire che i nodi al pettine prima o dopo arrivano ma se c’è il pettine, che finora non è stato attivato.
Viceversa, è prevalso il pregiudizio ideologico proiettato sui possibili scenari di riassetto politico in sede EU, a seconda dei risultati che usciranno dalle urne delle prossime consultazioni europee. In questo contesto si inscrive la campagna di narrazioni di paure per supposte derive autoritarie da attribuire all’operato della Premier Giorgia Meloni contro la quale, peraltro, si aggiunge un carico di valutazioni di incompetenza e di inadeguatezza per confrontarsi, da underdog, nelle cancellerie europee.
Se ne può attribuire il ruolo di notabile ispiratore a Carlo De Benedetti, finanziere, editore di giornali, la cui voce ha avuto ascolto per oltre un trentennio nelle scelte della sinistra politica ed editoriale italiana.
In una trasmissione de La7 ha esternato un suggerimento per il Presidente della Repubblica perché si attivasse per dare vita ad un Governo tecnico così come lo stesso Sergio Mattarella ed in precedenza Giorgio Napolitano avevano favorito, rispettivamente, gli Esecutivi presieduti da Mario Draghi e Mario Monti dopo avere constatato assenza di maggioranze parlamentari politicamente compatibili. Perciò, si tratta di una proposta, anche se provocatoria e da campagna elettorale, che sa tanto di cultura eversiva perché è incompatibile con un sistema di democrazia parlamentare fondato sulla sovranità popolare.
E’, viceversa, un’idea compatibile nei Sultanati ove prevale l’autocrazia. Ma, non in una Nazione che ha un Governo costituito su una maggioranza qualificata espressa dal voto popolare.
L’unica risposta meritevole che si adatta al Sultano la si può attingere dal canzonatorio gergo palermitano: “va chiuriti!” (ritirati), che l’attuale Capo dello Stato conosce nel significato e quando va usato.
Buon vento Italia.