Le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del PD e la chiamata di Giuseppe Conte per la leadership del M5S mostrano il volto di due forze politiche in esaurimento di energie propulsive.
Non è notizia di tutti i giorni sentir dire dalla bocca di un segretario di partito di vergognarsi di farne parte. Né è usuale che una forza politica più rappresenta in Parlamento per rigenerarsi ricorra al magistero di un “Papa straniero”.
In entrambi i casi ci sono motivazioni che vanno oltre le vicende personali e travalicano la fragilità dei rispettivi modelli associativi.
C’è smarrimento di identità sia nelle parole di Zingaretti che nelle spinte alla diaspora dei pentastellati.
Nello specifico, il PD sembra ingessato in vecchie ritualità correntizie, mentre nel M5S si agitano ansie per un incerto futuro.
L’uno e l’altro hanno avuto esperienze comuni di governo con il Conte 2 andato in crisi avendo perso credibilità ed autorevolezza nell’aula del Senato quando è stata posta in essere l’operazione “responsabili “ rivelatasi maldestra non tanto per la conta delle condivisioni quanto per il degrado dell’etica della rappresentanza politica.
Si tratta di uno snodo che ha dato il via ad un cambio radicale delle relazioni politiche: choccante per il M5S che si trova a condividere le poltrone di Palazzo Chigi con FI e frastornante per il PD costretto a misurarsi alla pari con la Lega di Salvini nello svolgimento di attività di Governo. Sono cambiati scenari e coach, crescendo con Mario Draghi Premier i rapporti fiduciari in Parlamento e nel contesto delle cancellerie europee.
Stonerebbe in una realtà di pandemia sanitaria, economica e sociale l’insistenza su una conflittualità elevata ad una categoria del sistema politico italiano, già disastrato. Ora si tratta di prendere coscienza del presente che, da un lato, mette a dura prova vecchie prassi dem, e, dall’altro, anima visioni di transizioni nella comunità pentastellata.
La chiamano ecologica, ma senza una visione che investa le istituzioni dello Stato potrebbe fermarsi ad una sorta di “sic transit gloria mundi”.
Meglio affidarsi alla saggezza dei modi dire nella lingua napoletana per cercare di comprendere e/o configurare situazioni e stati d’animo mutuabili in politica.
Uno dice che “quann’ ‘o mare è calmo ogni… è marenaro”: vuol dire che si galleggia. L’altro più adatto al momento dice: “mieze ‘a tempesta se capisce chi è ‘mmarinaro e chi è muzzo”.
Come dire che i cavalli si vedono all’arrivo. Ovverosia, meglio rimandare a domani ogni giudizio.