Il crinale che segna il confine tra comunicazione politica e comunicazione pubblica è la verità, lo stesso che separa la politica dalle istituzioni.
Ne ragioneremo stasera, insieme a Francesco Nicodemo ed agli autori, presentando il bel volume di Silvia Lamberti e di Pasquale Petrillo dal suggestivo titolo “Maionese impazzita” (D’Amico Editore) nel salone di rappresentanza del Municipio di Cava de’ Tirreni.
La verità è il confine, ma è fragile, facilmente permeabile; anche perché non è la stessa per tutti. Eppure è fondamentale cercarla; ne sanno qualcosa i magistrati che ogni giorno la cercano con la responsabilità di chi sa che dalle proprie decisioni dipende la vita delle persone giudicate. Ma anche i giornalisti, quelli seri, che vivono di ricerca della verità. E gli scienziati, gli storici etc …
Se entriamo però nel territorio socio-politico, la verità, per lo meno quella che ciascuno di noi percepisce come tale nella sua coscienza, appartiene ai testimoni o, se si vuole ai profeti. Costoro sanno che il suo costo è il più delle volte l’isolamento. La verità, in politica, è ostica a chi la professa.
Il politico che si assoggettasse ad essa, declarandola senza cautele, finirebbe con l’essere spernacchiato in men che non si dica. Specie in democrazia, l’efficacia della comunicazione politica è data dalle mezze verità; o dalle mezze bugie, se preferite. Sono queste a fare la fortuna dei politici, quando sanno bene dosarle. È appena il caso di precisare che non sto qui ragionando in termini moralistici. Il fine della politica – mi riferisco qui a quella nobile – è il successo nel perseguimento degli obiettivi programmatici condivisi dai propri elettori e del bene comune di tutti. Per raggiungere lo scopo, specie in democrazia, al politico serve il consenso degli elettori e, se una mezza verità o una mezza bugia sono utili all’uopo, che ben vengano.
Se dunque il fine della comunicazione politica è il perseguimento degli obiettivi di parte, ciò non vale per la comunicazione pubblica, che tende al benessere delle istituzioni committenti, rappresentandone i procedimenti, l’agenda setting ed i contenuti in modo quanto più possibile impersonale e trasparente.
Gli Enti, che siano locali, regionali o nazionali, dovrebbero disporre di uffici di comunicazione pubblica distinti da quelli della comunicazione politica. Il sindaco, chi governa, ma anche chi sta all’opposizione nelle istituzioni e nel Paese, insomma i politici, hanno il diritto e il bisogno di mettere in essere una propria comunicazione di parte. I cittadini fruitori della comunicazione, per parte loro, hanno altrettanti diritto e bisogno di ricevere informazioni puntuali, affidabili, oneste sui servizi offerti dalle istituzioni e sui contenuti delle deliberazioni regolamentari e normative; magari venendo aiutati dagli uffici della comunicazione pubblica per comprenderne i contenuti puntuali. Quest’ultimo è il dovere della comunicazione pubblica ed istituzionale.
Uffici della comunicazione politica distinti da quelli della comunicazione pubblica, dunque. Questo dovrebbe essere nella norma e questo è anche quanto si verifica solo di rado. La regola è il cannibalismo della comunicazione politica rispetto a quella pubblica, col risultato che il cittadino, ricevendo il più delle volte informazioni parziali, se non distorcenti della realtà, e non sapendo dove attingere la realtà dei fatti istituzionali, poco alla volta perde la fiducia insieme nella politica e nelle istituzioni. Se poi ci si aggiunge che la comunicazione tutta è oggi appannaggio di chiunque smanetti e navighi nei procellosi mari del villaggio globale, si può immaginare ancora meglio quanto sia grande la responsabilità dei comunicatori pubblici.
A stasera.