scritto da Redazione Ulisseonline - 16 Dicembre 2016 14:47

Il caso De Luca, la goliardia va in tribunale

Il voto di scambio si basa su il “do ut des”. Una regola di ispirazione mercantile incompatibile con la genesi ideologica della politica. E’ antica, praticata sin da quando comunità di uomini hanno incominciato ad usare il voto per designare i loro rappresentanti o condottieri. Non fa scandalo il baratto del voto con le promesse di buon governo. Il fornaretto dell’antica Pompei chiedeva di votarlo perché faceva il pane buono.

La questione ha assunto rilevanza di buon costume, in senso politico, quando, a seguito dell’introduzione del suffragio universale, qualcuno ha pensato di conquistare consensi nelle fasce sociali più povere attraverso la distribuzione di beni di prima necessità. Ne è stato antesignano, nel dopoguerra, l’armatore Achille Lauro, Sindaco di Napoli, distribuendo scarpe e pacchi di pasta per ogni promessa di voto. Lo scambio ha assunto rilevanza penale, soprattutto, con la gestione di investimenti e servizi erogati dagli enti pubblici come strumento di orientamento di ampie fasce del corpo elettorale.

Sull’argomento c’è un’ampia letteratura che riguarda la formazione di clientele, rintracciabile anche in epoche antecedenti alla nascita della Repubblica. E’ nelle cronache più recenti che il fenomeno ha motivato interventi legislativi indirizzati a prevenire ed a punire comportamenti atti ad alterare il libero esercizio del diritto di scelta elettorale.

Sul suo condizionamento si sono accumulati fascicoli presso le Procure della Repubblica di tutta Italia finiti sotto l’occhio di ingrandimento anche delle diverse Commissioni parlamentari di inchiesta sulla mafia. Nei loro dossier ci sono tanti riferimenti ad incestuosi rapporti tra il mondo delle imprese legate o dipendenti dalla spesa pubblica e quello dei politici a caccia di consensi.

Contro questi incesti hanno lottato magistrati e personaggi politici che ci hanno rimesso la vita come Marcello Torre, Pio La Torre e Piersanti Mattarella.

L’inchiesta aperta dalla Procura di Napoli sulle conversazioni avute dal Presidente della Regione Campania con i Sindaci di trecento comuni, riuniti all’Hotel Ramada per discutere sul voto referendario del 4 dicembre, è un atto dovuto, secondo l’ordinamento costituzionale vigente, ed è una garanzia per lo stesso indagato.

Per il rango istituzionale da lui rappresentato il caso non può non fare notizia. Altra cosa è la configurazione di un reato sul clamore infiorato dal suo linguaggio ambivalente che oscilla tra la scorrettezza politica e la sfida alle regole costituite. Certamente, sul piano dell’immagine dell’etica pubblica non gli ha giovato il tentativo di spiegare le frasi captate dal “Fatto Quotidiano” con interpretazioni  più o meno semantiche sui modi dire locali.

Gli sono state letali come argomenti di propaganda elettorale, stante i risultati  usciti dalle urne. Nei  media nazionali si è fatto su De Luca tanto folklore alimentato dalle metafore sulla “frittura di alici” e sui “totani arrostiti” da lui utilizzate  per ridicolizzare la presunta idea di scambio.

Battute “goliardiche” a suo dire, ma certamente poco istituzionali. Per il resto, c’è un giudice anche a Napoli.

Rivista on line di politica, lavoro, impresa e società fondata e diretta da Pasquale Petrillo - Proprietà editoriale: Comunicazione & Territorio di Cava de' Tirreni, presieduta da Silvia Lamberti.

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