Il Movimento delle “sardine” nato a Bologna il 14 novembre scorso si è esteso in tutta Italia. Veicolato dai social network e favorito dai mass media ha dato vita, in pochi giorni, ad una sessantina di gruppi locali.
I suoi promotori lo presentano come un fenomeno spontaneo di mobilitazione apartitica in cerca di “politici con la P maiuscola”. Lo scrivono sul loro manifesto nel quale indicano che per i populisti “la festa è finita”, ma non dicono da che parte stare nella reale situazione politica del Paese, dal momento che il loro obiettivo di immediata attualità è quello di contenere la Lega e le destre, così come viene esplicitato nei cartelli issati nelle loro manifestazioni.
Il che lascia immaginare, dati gli attuali orientamenti elettorali, che si propongono di porre in essere una sorta di palingenesi politica di un popolo incolto e/o ingenuo, ingannato da bugie ed intossicati da odio. Con queste pretese sembrano di volere riesumare il sogno di una sinistra elitaria nella cui letteratura ogni narrazione alternativa alla sua veniva classificata come manifestazione di infantilismo politico, di qualunquismo, populismo e fascismo.
Ai relativi aggettivi non sono sfuggiti, nei 73 anni di democrazia repubblicana, tutti i leader politici dei campi avversi. Con altre parole, dosate per raccogliere empatie, anche le “sardine” vogliono dire non siate stupidi, ascoltate noi che “amiamo -è detto nel manifesto- le cose divertenti, la bellezza, la non violenza” e non i seminatori di paure. A questi concedono “il diritto di parola” ma non quello che “qualcuno” li “stia ad ascoltare”.
Si tratta di un errore lessicale o di una mania di cultura illiberale? Essendo l’ascolto una facoltà non governabile con un rubinetto (neanche nei regimi totalitari) non è fuori luogo pensare al tentativo di una inversione dei temi del dibattito pubblico da parte delle élite al potere i cui messaggi non vengono più recepiti e ne attribuiscono la caduta di credibilità all’insorgere dei populismi.
Ciò non sottrae merito ai promotori del Movimento di avere conquistato piazze fisiche e mediatiche sulla richiesta di dare dignità alla politica ed ai suoi attori che “pur sbagliando ci provano”. Il loro “coraggio” promesso nel manifesto riporta indietro nella memoria ai “girotondi” di Nanni Moretti ed ai “Vaffa” di Beppe Grillo.
Al di là di possibili paragoni con le parabole di queste due esperienze, il tentativo delle “sardine” di far risalire la politica dai “fondali”, termine coerente con la metafora ittica, si presta a divenire un aiutino per la sinistra attraverso l’occupazione di spazi dove i messaggi dei suoi attori non arrivano più, mentre vengono recepiti quelli della Lega e delle destre.
Resta un dubbio sulla natura di questo nuovo movimento di facce genuine ed entusiaste il cui linguaggio di ispirazione prodiana appare più collaterale al PD che autonomo ed indipendente da condizionamenti ideologici e da appartenenza a specifiche famiglie politiche.
Dicono che non si faranno strumentalizzare, ma senza idee nuove fondate sull’alternanza, a prescindere dai campi di formazione e di rappresentanza di interessi sociali, nulla si crea nel libero confronto democratico. Si sopravvive nella precarietà. Perciò, rimanendo nella metafora ittica vale la pena rammentare che anche in politica, così come accade a mare, nelle acque torbide non c’è ossigeno per un buona pesca.
Sta scritto in una regola della saggezza napoletana: “arèna rossa nun se mèttono nasse”.