I cavesi e la “solitudine dei numeri primi”
Nel suo viaggio alla scoperta del presente e del domani della nostra città, Ulisse ha incontrato, con un lunga e poderosa intervista pubblicata oggi, un giovane professionista, un trentenne cavese che ormai da quasi vent’anni vive a Roma. Stiamo parlando di Filippo Durante, un avvocato di successo, ma anche un giornalista pubblicista, uno dei migliori prodotti e in assoluto il più giovane redattore uscito da quella fucina di giornalisti, di idee e di fermento politico, che fu negli ultimi anni del secolo scorso il mensile cittadino Confronto. E in quella redazione Filippo Durante, appena sedicenne, si affermò subito come un Mozart della penna e del pensiero, per il suo talento precoce e la maturità intellettuale, distinguendosi però anche per la sua serietà, umiltà e modestia. Ora che è un professionista apprezzato e affermato nella Capitale, Filippo Durante mostra una profondità di riflessione ed una lucidità di analisi davvero pregevoli, accompagnate comunque dal suo innato equilibrio, ma soprattutto da un forte attaccamento alla propria terra.
Le perspicaci e talvolta pungenti argomentazioni di Filippo Durante sono tutte da leggere. Prendiamo, ad esempio, la risposta su quelli che sono i punti di forza di Cava. Ebbene, tra gli altri, il nostro individua “la dimensione umana, rara in uno spazio urbano, che si respira”, la qualità della vita, la “vivace agorà della polis; l’imperturbabilità; quell’“aria di sopravvivenza signorile” che Giuseppe Prezzolini così bene seppe descrivere”.
All’apparenza, quella di Durante sembra quasi una visione idilliaca della valle metelliana, tipica del cavese che vive lontano dalla propria città. Non è affatto così. Durante, infatti, è puntuale e sagace anche nell’elencazione dei nostri punti deboli, dove, tra l’altro, annovera “l’autoreferenzialità; l’assenza di una chiara identità economica; una concezione della tradizione come “imbalsamazione” e, dunque, come prigione; la pratica diffusa del chiacchiericcio, del pettegolezzo, dell’inciucio; l’illusione di essere migliori, che spesso si traduce in hybris”, per intenderci in un orgoglio insolente, ma anche in “una malcelata attitudine alla malevolenza, o quantomeno alla diffidenza, verso i concittadini che emergono”. E’ severo Durante in questa sorta di incalzante j’accuse? No, è solo veritiero. Un verità nuda e cruda, senza sconti.
Nella sua analisi sul presente e sulle prospettive della nostra città, Filippo Durante mostra di avere idee chiare oltre che apprezzabili: dalla connotazione economica al folclore, dalla cultura alla necessità di non fermare l’attenzione sul Palazzo di Città bensì di guardare oltre le mura cittadine, dalla desertificazione giovanile che patisce la città alla movida che fa economia, ma che dovrebbe puntare verso l’alto “sul piano dell’offerta culturale e non solo sul crinale della frivolezza”.
Fermiamoci qui, non senza però evidenziare tre inviti molto acuti e stimolanti rivolti ai cavesi.
Il primo, quando invita i cavesi a “non attardarsi, come Don Chisciotte, in battaglie perse”. In breve, non perdere tempo a lagnarsi, piangendo sul latte versato, bensì attrezzarsi per giocare al rilancio. Il secondo, quando invita i cavesi a sottrarsi a uno scenario “da solitudine dei numeri primi”, al contrario, impegnarsi a fare rete con le realtà vicine. Il terzo, quando invita a buttar via quella che chiama “la sindrome dei cento metri”, ovvero quel pezzo di città che, aggiungiamo noi, è sempre presidiato dai vigili urbani e va dal Comune a piazza Duomo, al più mettendoci dentro un tratto del centro storico. “Vale a dire -spiega Durante- l’attitudine a ritenere che tutto il mondo si concentri in quel breve tratto di strada”.
Non crediamo che questi inviti abbiano bisogno di essere ulteriormente chiariti o commentati. Parlano da soli.
In ultimo, merita una riflessione a parte la battuta finale di Filippo Durante: “Cava è quasi un personaggio in cerca d’autore”. E’ una frase un po’ sibillina. Forse, vuol dire semplicemente che la nostra città deve trovare una strada di crescita da percorrere in questo nuovo millennio. In altre parole, come ha sottolineato in una delle sue risposte, Durante sollecita la città a provare a capire cosa vuol fare da grande, ponendo così fine alla “sua aporia”. Insomma, di non vivere più nell’incertezza, smetterla di essere né carne né pesce. C’è da chiedersi, però, se questo processo decisionale e di maturazione dovrà essere compiuto dalla città nella sua interezza o attraverso la guida di una leadership politica forte, autorevole, lungimirante. Molto probabilmente, però, l’una non esclude l’altra. Anzi no, molto più probabilmente la leadership emergerà solo quando la città maturerà una scelta che è innanzi tutto culturale oltre che politica.
Il problema vero, al momento, è che all’orizzonte non si intravede ancora niente di tutto ciò.