Certo è che questo governo giallorosso non è fortunato. Prima una finanziaria ostica, ma lo si sapeva, poi la grana mastodontica dell’ex Ilva, ora il maltempo e la fragile Venezia che finisce sott’acqua.
Certo, ci hanno messo pure del loro con una legge di bilancio pasticciata e apparecchiata, anche e soprattutto sul piano della comunicazione politica, ancora peggio.
Quel che è più grave e preoccupante, però, sono i continui litigi, le fughe in avanti ora di uno, ora di un altro, la confusione che traspare in tutto e su tutto.
In breve, questo governo, a meno di miracoli, sembra giunto al capolinea nel giro di pochi mesi.
A dirlo, pur con la dovuta precauzione, sono i sondaggi: la Lega di Salvini vola, ma nel complesso è il centrodestra a superare addirittura la maggioranza assoluta delle intenzioni di voto degli italiani.
Vero è che i sondaggi vanno presi con le pinze, ma sta di fatto che Fratelli d’Italia, da partito marginale, sfiora ormai il 10% dei consensi potenziali. Addirittura Forza Italia, che sembrava in caduta libera, si sta riprendendo.
Tutto questo, piaccia o meno, qualcosa vorrà pur dire. Per non parlare poi del disastro elettorale umbro di Pd e Cinque Stelle, e le previsioni assai fosche per le prossime elezioni regionali in Emilia Romagna, da sempre roccaforte della sinistra, che ora rischia di essere conquistata da una pulzella leghista.
Stando così le cose, è troppo facile dire che questo governo giallorosso avrà vita assai breve. Per una questione almeno di rispetto per loro stessi, dovranno cercare di portare a casa l’approvazione della legge di bilancio, per quanto arruffata possa alla fine venir fuori, e mettere i remi in barca all’indomani del voto in Emilia-Romagna, a maggior ragione se sarà favorevole al centrodestra.
Per il Pd soprattutto, che sembra sempre più stretto nella morsa dei pentastellati da un lato e da Renzi dall’altra, prima si va al voto, meglio sarà. Tenere ancora in vita questo governo per molti altri mesi è un’ottusa forma di accanimento terapeutico, suggerita dalla paura ma che schianterà le forze che lo sostengono.
Certo, vincerà Salvini e il centrodestra, ma questo sembra inevitabile. E non sarà neanche la fine del mondo. Non si tratta di rassegnarsi, ma è meglio per la sinistra accettare la realtà, mettere un punto a capo e non svenarsi ogni giorno in un governo che poggia sulle sabbie mobili.
E poi, una volta al governo, potremo valutare per davvero la distanza che c’è tra il buon governo e la propaganda di Salvini, senza per questo agitare lo spauracchio del fascismo che è storicamente, come è stato magistralmente spiegato ieri sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia, cosa assai diversa dal sovranismo o, se preferite, da questo nuovo nazionalismo, assai diverso rispetto a quello del Novecento. D’altro canto, l’equazione politica di questi tempi è che più da sinistra si dipinge la destra come un rischio democratico, più la si ingrassa elettoralmente.
Il vero problema non sono Salvini e la destra. La vera questione, quella più immediata e rilevante, è che il nostro Paese è diviso, spaccato, ed avrebbe bisogno di riforme radicali, possibili solo con una ricomposizione di valori che veda protagonisti, pur con le sfumature delle culture delle diverse famiglie politiche, sia maggioranza e opposizione sia il popolo sovrano.
Insomma, ci vorrebbe quello spirito costituente che animò le forze politiche dopo il disastro della seconda guerra mondiale e che aveva il fondamento in un sentimento popolare unitario nella volontà di costruire un’Italia migliore.
Tutto questo non si vede all’orizzonte. E ciò non riguarda solo le forze politiche. La verità è che prima noi, popolo sovrano, siamo confusi, malmostosi, incolleriti, l’un contro l’altro armato. Molto probabilmente non abbiamo ancora raschiato il fondo del barile. Dobbiamo allora accontentarci di andare al voto, il prima possibile, e sperare che quelli che verranno si rivelino migliori di chi li ha preceduti e soprattutto di come ora vengono valutati.
Come dire, sforziamoci, per quanto possibile, di pensare positivo.
In fondo, pur nella consapevolezza di illudersi, sperare è sempre preferibile che disperare.