DDL Zan, chi bluffa e chi medita la mossa del cavallo?
Il Ddl Zan sull’omotransfobia il 13 luglio approderà nell’aula del Senato senza intesa tra le forze politiche.
Su di esso incombe il braccio di ferro tra PD e M5S, da una parte, ed IV e Lega, dall’altra.
Nella normale dialettica parlamentare ogni iniziativa legislativa segue l’iter della duplice lettura, con relative istruttorie, da parte di Camera e Senato. Si tratta di una prassi obbligata dal nostro ordinamento costituzionale del bicameralismo paritario.
Nel caso specifico lo scontro ha origine dalla richiesta di PD e M5S di approvare il citato Ddl così come è pervenuto a Palazzo Madama da Montecitorio. I suoi sostenitori ne temono l’affossamento, perché qualsiasi cambio del testo, necessitando di un’ulteriore lettura della Camera, potrebbe allungare i tempi di approvazione definitiva oltre i limiti della durata della legislatura.
Di parere diverso coloro che ritengono di dovere emendare l’attuale testo perché lacunoso, ambiguo e pregiudizievole per libertà costituzionalmente garantite: espressione (art. 21), insegnamento (art. 33) ed educazione (art. 30). Al di là delle narrazioni mediatiche sui contenuti, diffidenze e dispute interne alla maggioranza di governo esternate da Enrico Letta hanno finora bloccato qualsiasi forma di dialogo con il duo Renzi-Salvini.
Dalle reciproche battute sembra che si stia giocando una partita a scacchi o a poker: chi bluffa e chi medita la mossa da cavallo? Dietro la sfida della conta in aula lanciata dal Segretario del PD é possibile intravedere l’opzione per un percorso che gli consentirebbe di scansare eventuali bluff di Matteo Renzi e di ridimensionare a semplici “giochini” il ruolo di Matteo Salvini.
Come dire: una scelta per “stare sereno”, memore di passare esperienze, ed una opportunità per mettere all’angolo un ospite da lui non gradito a Palazzo Chigi. Se ne comprendono le ragioni politico-mediatiche, ma inadatte per il buon viatico di una normativa necessaria per combattere e prevenire qualsiasi forma di omofobia, in armonia con l’esercizio di altri diritti riconosciuti e tutelati dal nostro ordinamento.
Se non si vuole un “manifesto”, stupisce l’accanimento, anche da parte degli stessi ambienti LGBT, per un “copia ed incolla” che rischia di non raccogliere sufficienti consensi in aula a fronte di un testo passibile di limature certe da parte della Corte costituzionale.
É uno dei casi in cui la rivendicazione di tutele e di diritti può diventare merce di scambio tra politicanti. Perciò, è auspicabile che in aula si sgonfino i muscoli e si lavori con intelligenza, la cui misura “è data dalla capacità di cambiare quando è necessario” (copyright di Albert Einstein).