Crisi di governo, la svolta dopo il teatrino dei volenterosi
E’ in corso un nuovo giro di poker dalla cui combinazione di carte si profilano scenari impensabili
Se decolla, il Governo del banchiere Mario Draghi può rivelarsi un placebo o una svolta verso sentieri finora impraticabili.
La sua genesi è diversa dalle soluzioni di emergenza e/o di transizione sperimentate con gli esecutivi di Carlo A. Ciampi (1993), Lamberto Dini (1995) e di Mario Monti (2011). Ciascuno di essi ha operato in parlamenti composti da forze politiche tradizionali, distinte o disgregate ma riconoscibili per dottrina politica e per ispirazioni di pensiero socio-culturale.
Esse non mancano anche adesso, ma sono sfumate in questo Parlamento in cui è prevalente la rappresentanza di un movimento, M5S, spontaneistico, che ha riscosso consensi sull’onda di sentite istanze di cambiamento del sistema partitocratico e di rottamazione delle relative caste.
Se ne coglie ancora il senso nel richiamo alle cosiddette identità populiste e se ne capisce il travaglio odierno nel dovere manifestare dichiarazioni di responsabilità e rispetto per le istituzioni non senza trascurare comportamenti duali per la sopravvivenza del movimento.
La chiamata a serrare i ranghi ed a praticare nuovi percorsi è nelle parole dell’ex Premier Giuseppe Conte quando dice di non osteggiare l’iniziativa del suo successore, auspica la nascita di un Governo “politico”, lancia l’appello agli “amici del M5S: ci sono” ed avverte gli “amici di PD e LEU” di dovere lavorare insieme per proseguire e rinnovare l’alleanza.
Si tratta di un messaggio chiaro e forte che vale per configurare la maggioranza che occorre a Draghi in Parlamento e per dare vita ad una nuova stagione politica da mettere a profitto nei prossimi appuntamenti elettorali.
Il che se, da un lato, può essere un rebus in meno, sul piano numerico, per il lavoro del Premier incaricato, dall’altro, non può non destare attenzione nelle fila del PD per la conduzione della leadership della nuova edizione della compagine di centrosinistra.
In maniera speculare, l’ingresso di Mario Draghi a Palazzo Chigi mette alla prova l’unità della coalizione di centrodestra. In essa sono chiare la posizione di FI a sostegno del nascituro esecutivo e quella di FdI non ostili a priori ma attestati sulla necessità del rinnovo di un Parlamento non più rappresentativo della realtà dei bisogni del Paese.
Resta il rebus della Lega che si dibatte tra il mantra sulla “sovranità che appartiene al popolo” e gli umori e le aspettative di ripresa dei ceti piccoli e medi imprenditoriali che rappresentato il grosso dell’elettorato di riferimento del Carroccio. Da qui si spiega il rimando all’ascolto delle priorità indicate per la nascita del Governo targato Draghi.
Come si vede è in corso un nuovo giro di poker dalla cui combinazione di carte si profilano scenari impensabili con le sgrammaticature politiche ed istituzionali della legislatura in corso.
La scelta del Capo dello Stato di “alto profilo” fa tabula rasa della messa in scena del teatrino dei “costruttori” e “volenterosi”. Resta in sospeso come attivare la piattaforma “senza formula politica” prefigurata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il che non vuol dire Governo di tecnici o di competenti senza anima politica, ma libero da ipoteche o da preminenza di parte. Dietro il suo varo si nascondono le insidie mediatiche dei cacciatori di visibilità di influenze da esercitare nella raccolta di consensi. Ne è significativo il citato messaggio di Conte indirizzato ai suoi citati amici del M5S, PD e Leu.