Cava: una signora affascinante, ambigua e misteriosa
L’intervista sulla città metelliana rilasciata al nostro giornale dalla professoressa Maria Olmina D’Arienzo ci sembra essere una vera e propria lectio magistralis. C’è poco da commentare, per il semplice fatto che le sue risposte sono estremamente sintetiche e chiare, oltre che colme di contenuti e significati.
Non ci resta, quindi, che evidenziarne alcuni dei passaggi più significativi, come quello, ad esempio, in cui vengono individuati i limiti, i punti deboli della cavesità, ovvero «una certa patina di provincialismo, la mancanza di un’autentica coesione sociale, la tendenza dei cittadini alla polemica e alla critica non costruttiva, l’eccessiva cura del proprio “particulare”, a discapito della “res publica”». Più che una risposta, sembra una radiografia antropologica e socio-culturale di noi cavesi.
Ne consegue che per la D’Arienzo alla nostra città serve «una maggiore collaborazione, una cultura più vera, indirizzata nel senso della civiltà, una politica più incisiva e più autenticamente umana, più concreta e lungimirante». In altre parole, una terapia puntuale ed impegnativa.
E qual è la piaga della nostra città per Maria Olmina D’Arienzo? La risposta è secca e lapidaria: l’improvvisazione. Eh sì, anche in questo ha colpito nel segno. Sì, perché Cava, come ogni piccola realtà, si rivela spesso essere la città della fiction, dove sono in tanti a recitare e darsi un ruolo, dove si presume di essere o, se si preferisce, ci si improvvisa in tutto e per tutto. Il proscenio metelliano risulta così affollato da improbabili e spesso improponibili amministratori comunali, da politici da strapazzo e da avanspettacolo, ma anche da artisti inverosimili e a volte strampalati, da presunti attori che non hanno mai calcato una scena, e ancora da incredibili storici che non hanno mai frequentato un archivio, da scrittori e giornalisti che con la penna il più delle volte non hanno né la consuetudine né la dimestichezza, e via di questo passo. E che in comune hanno di sicuro l’improvvisazione denunciata dalla professoressa D’Arienzo, concorrendo numerosi e rumorosi a ingombrare maldestramente il campo a quanti, e ce ne sono, in città hanno competenze, titoli, esperienza e professionalità, per dare un contributo decisivo alla crescita della città.
E viene spontaneo quindi alla D’Arienzo consigliare agli amministratori comunali più giovani «di rispettare i ruoli, di prepararsi seriamente a “fare politica”, quella vera ed autentica… di capirne le motivazioni profonde e le necessità, di evitare l’utilitarismo personale e la supponenza, di imparare “osservando, concatenando e deducendo”, di convincersi che amministrare la cosa pubblica è un servizio e non un potere». E a chi vorrebbe candidarsi a governare la città, formula l’invito a «essere concreto, di costruire utilizzando e valorizzando tutte le risorse disponibili, al di là delle divergenze ideologiche (sempre che ci siano), evitando chiusure mentali, pregiudizi, autoreferenzialità». Insomma, una bellissima, anche nella sua semplicità, e intensa lezione di vita oltre che di politica (ammesso che ci siano delle differenze fra le due cose).
In ultimo, appare assai originale e seducente la definizione che dà della nostra città: «Cava è “donna”, nel senso semantico di domina = signora, con tutta la carica di fascino, mistero e, perché no, l’ambiguità e l’oscillazione pendolare che caratterizza l’essere femminile».
E’ l’affascinante affresco di una città femmina che, per noi cavesi, non può che essere amata, con tutti i suoi difetti, i suoi limiti. Amata e da amare, nonostante tutto.