Cava, il realismo di Marco Senatore e la democrazia di Churchill
L’intervista all’avvocato Marco Senatore sulla politica cittadina in vista delle prossime comunali, pubblicata oggi da Ulisse, ha la sua cifra nel forte richiamo alla concretezza e al realismo della proposta politica.
Marco Senatore, non a caso, invita a rifuggire dai “libri dei sogni che non si riusciranno mai ad attuare, sia per incapacità politica degli amministratori, sia per la mancanza di risorse e tempo”. Allo steso modo, da un lato ritiene che la politica richiede esperienza e competenza che “si maturano con gli anni e con la pratica, non viceversa dalla sera alla mattina”; dall’altro, ritiene che “un buon candidato a sindaco deve avere una grande capacità di ascolto, umiltà, equilibrio, esperienza, competenza e soprattutto determinazione nelle scelte da operare”.
Insomma, Marco Senatore bada al sodo, rifuggendo dagli slogan e dall’aria fritta. E in effetti non si può non concordare con lui quando sostiene che occorre utilizzare un linguaggio di verità, “credibile e affidabile”, dicendo “basta alle promesse non realizzabili e le bugie elettorali solo per raccattare più voti, occorre parlare alla gente come fa il buon padre di famiglia: con onestà, trasparenza e con dei NO educativi”.
Senatore, in verità, offre altri spunti di riflessione sui punti programmatici, sui criteri e le modalità per la scelta degli assessori, sulle regole che portano alla buona politica.
Un aspetto della sua intervista, però, merita una riflessione più approfondita. E’ quella parte che riguarda i candidati a consigliere comunale, quando il nostro arriva a sostenere che dovrebbero anticipatamente munirsi “di un titolo obbligatorio per potersi candidare, rilasciatogli dopo aver seguito un corso e fatto un minimo di pratica in Consiglio Comunale. Ciò è previsto per gli amministratori di condominio professionali e non per gli amministratori pubblici!!!”.
Comprendiamo le ragioni, ma non le condividiamo, quantomeno non crediamo che il criterio proposto sia praticabile, ma sopratutto compatibile con un sistema democratico.
Vero è, d’altronde, che si è stanchi persino di ministri privi di competenze e di esperienze, ma in democrazia la legittimazione ad occupare un ruolo politico-istituzionale viene dal consenso elettorale, per quanto discutibile tutto ciò possa essere.
Questo per dire che la legittimazione viene dal voto e quindi sono i cittadini, gli elettori, a dover compiere scelte oculate in cabina elettorale innanzi tutto. Insomma, se ci troviamo un incompetente se non addirittura un analfabeta a ricoprire, ad esempio, l’incarico di assessore ai lavori pubblici o a svolgere il ruolo di ministro degli Esteri, e quindi a rappresentare il nostro Paese nel mondo, la responsabilità è di chi ha consentito e indirettamente o direttamente scelto ed elevato ad un ruolo pubblico con il proprio voto il ciuco di turno.
Certo, è colpa anche della cattiva politica, ma quest’ultima attecchisce e prospera dove l’opinione pubblica e più ancora l’elettorato lo permette.
D’altro canto, però, non è scritto da nessuna parte che un tecnico competente riesca meglio in un assessorato o in un ministero rispetto a un politico che non abbia una competenza specifica, ma esperienza, fiuto, capacità manageriali e qualità organizzative e relazionali. Insomma, la politica ha altre regole e non si entra con un concorso e un titolo di studio specifico come occorre per iscriversi ad un ordine professionale o accedere al posto di pubblico dipendente. Nella nostra modesta esperienza, abbiamo visto in passato degli ottimi assessori alla nettezza urbana con appena la quinta elementare rispetto alla modestia se non alla pochezza di qualche laureato di oggi con la delega all’ambiente.
Poi, è vero, si possono trovare rimedi e criteri più o meno drastici nel selezionare il personale politico, ma ciò non deve mai cozzare con la democrazia e con i suoi valori, i suoi limiti, i suoi difetti.
Noi, in fondo riteniamo convintamente che sia ancora valida l’affermazione di Winston Churchill: “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.
Questo per dire che sì, è vero, la democrazia è la peggior forma di governo ma, nonostante tutto, resta la migliore finora.
E noi italiani il peggio della democrazia ne abbiamo assaggiato un bel po’.
Negli ultimi tempi soprattutto.
18.09.19 / by Nino Maiorino. La proposta di Marco Senatore mi sembra ineccepibile, la condivido in pieno. Siamo stanchi di incompetenti e pressapochisti.