Lo sfogo di Beppe Grillo reso via social sulla vicenda giudiziaria del figlio, accusato di stupro, non agevola il lavoro di sintonia tra dem e pentastellati intrapreso da Enrico Letta e Giuseppe Conte.
Entrambi, con diverse sfumature, sono stati costretti a prendere le distanze dai contenuti esternati dal garante del M5S: “elevato”, come egli si definisce, ma imbarazzante come capo politico. Se ne comprende l’angoscia come padre (i figli “so pezz ‘e core”) che non giustifica tono, arroganza e teatralità da parte di chi è abilitato a sedersi al tavolo per governare il Paese, dettandone svolte e traiettorie.
Nella storia della Repubblica non mancano casi di figli di personaggi politici o di Governo coinvolti in indagini giudiziarie, ma non si ha memoria di sceneggiate così debordanti poste in essere dai loro genitori.
Si riscontrano comportamenti di umiltà e rispetto istituzionale tenuti da esponenti di primo piano della DC negli anni 50 sul delitto Montesi e negli 80 su un inciampo terroristico.
È facile il richiamo alla diversità dei tempi relativamente all’etica della responsabilità ed al senso dello Stato. Sul caso specifico in parola c’è altro; riaffiora la cultura antropologica dei “vaffa” che si è manifestata insofferente verso le regole della convivenza politica, dissacrante per le istituzioni e diffidente nei confronti dei loro rappresentanti accumunati nella dispregiativa espressione “casta”.
Nelle esternazioni dello “elevato” c’è l’eco di tutto questo bagaglio di parole e modi di esprimersi, al di là del sessismo di cui è intriso il suo sfogo e sul quale si è levata una indignazione trasversale, senza colori e bandiere.
La piega della discussione, viceversa, sembra che stia scivolando nei “botta e risposta” su garantismo e giustizialismo praticati a fasi alterne e di convenienza. Un modo per i pentastellati di buttare la palla in corner e per i loro antagonisti di dare fiato alle trombe della polemica.
Si capiscono i toni morbidi di Giuseppe Conte, capo in pectore del Movimento, e quelli non taglienti di Enrico Letta, che ne coltiva possibili alleanze “per battere la destra”, come egli dice.
Entrambi centrocampisti o bottai sembrano più interessati all’evoluzione del “fanculismo” in “cerchiobottismo”. Una prassi quest’ultima assimilabile al “doroteismo” democristiano della prima Repubblica, sorretto da una cultura e visione politica che ora non si manifesta ed è tutta da costruire.