“Al lupo, al lupo”: l’allarme della sinistra che fa vincere la destra
Dire che il test elettorale dell’Umbria abbia una rilevanza solo locale ha tutta l’aria, per chi lo sostiene, di rifugiarsi in una ovvietà per non ragionare sulle indicazioni uscite dalle urne.
Se ne possono contare almeno cinque.
La prima riguarda la bocciatura dell’alleanza PD/M5S e la seconda é l’incremento della partecipazione al voto che non si registrava da anni. Il che è un segno di risveglio verso la politica di cui hanno beneficiato la Lega di Matteo Salvini e FdI di Giorgia Meloni e, nel contempo, sottrae argomenti a chi di solito attribuisce all’astensionismo una delle motivazioni delle proprie perdite di consensi.
Nel caso specifico non c’è alcun alibi per FI già in declino come forza di attrazione del cosiddetto elettorato moderato, né per il Movimento pentastellato alla prima comparsata senza la propria casacca, avendone indossata una diversa, bicolore giallorossa.
In terzo luogo, sarebbe scorretto e fuorviante non prendere in considerazione la volontà espressa da un campione sia pure esiguo rispetto alla popolazione nazionale, dal momento che sulla competizione in terra umbra ci hanno messo le facce tutti i leader degli schieramenti politici italiani in atto al Governo o all’opposizione.
Non si tratta di tirare conclusioni sulla vita dell’esecutivo Conte bis, la cui sopravvivenza è legata ad altre dinamiche proprie della democrazia parlamentare, quanto di leggere e valutare le risposte in termini di empatie e diffidenze verso le offerte politiche messe in campo. E’ più appropriato parlare di realismo e di attualità piuttosto che di linee di tendenza mediate, provenendo il test da una Regione dove la politica, lontana dai clamori e condizionamenti mediatici delle grandi aree urbane, è vissuta e riscontrata sulle cose e sugli uomini.
Il quarto dato è la confluenza di consensi a destra che qui non è avvenuta nel segno di estemporanee proteste, ma è maturata nel tempo con l’erosione, prima nelle città, della credibilità del messaggio della sinistra che vi ha dominato per quasi mezzo secolo.
Da un lato, si capisce l’implosione del M5S privo di radicamento sul territorio e non più dissacratore della politica dell’establishment dal momento che è entrato nel Palazzo e ne ha condiviso logiche e dinamiche di compromesso.
Dall’altro lato, diverso è il ragionamento sull’arretramento del PD. Esso riguarda l’identità perduta di élite di riferimento politico culturale ereditata dai partiti classisti del novecento ed ora percepita come un blocco di potere amministrativo. Riposandosi su certezze pregresse, la presunta sinistra odierna non può imputare abissi di irrazionalità a fantasmi chiamati populismi e/o sovranismi.
Il quinto dato evidenzia che non basta gridare “al lupo, al lupo”, in camicia nera o verde, per contendere consensi ad una destra la cui espressione politica governa da anni Regioni trainanti dell’economia italiana ed attrezzate in termini di infrastrutture socioculturali. Il popolo non è politicamente analfabeta, come viene dipinto dagli analisti illuminati. Grazie al web ha più possibilità di accesso diretto all’informazione e di fruire di una comunicazione plurale, più aperta a contaminazioni anche inquinanti, ma certamente più libera da incrostazioni ideologiche. Perciò, si presume che l’elettorato voti con la testa e con la pancia e non è un tubo digerente secondo i profeti del consumismo globalizzato ed indifferenziato. Né la destra è culturalmente disarmata per non comprendere i sentimenti del tempo e non saperli interpretare secondo l’aria che tira nella società.
Almeno, fino a questo giro i dati sembrano darle ragione.