Censis: “Economia in galleggiamento. Gli italiani non credono nella ripresa”
Scettiche sulle prospettive di crescita dell’economia, dubbiose sul rilancio dell’occupazione, sfiduciate nel futuro, le famiglie intanto continuano ad accantonare soldi. È il ritratto di una economia in galleggiamento.
La nostra società non ha subito lo shock della crisi con la stessa gravità di altri sistemi economici, ma allo stesso modo non beneficerà con altrettanta intensità dei vantaggi della ripresa. Finiti gli slanci antichi della prosperità economica (+40,4% l’incremento del Pil in termini reali nel decennio degli anni ’70, +24,3% negli anni ’80, +13,1% negli anni ’90), la nostra economia ha continuato a crescere debolmente anche tra il 2000 e il 2007 (+8,5% il Pil e +5,6% i consumi in termini reali), poi si è invertito il ciclo negli anni della crisi perfida e interminabile (-8% il Pil e -6,5% i consumi tra il 2008 e il 2014).
Dal risparmio cautelativo al consumo sobrio ed essenziale, dalla minore propensione all’indebitamento delle famiglie alla rinnovata spinta patrimonialista (che però immobilizza i capitali), dalla ridotta finanziarizzazione dell’economia al nuovo sommerso, fino alla riconferma di un modello di piccola impresa e di welfare familiare: sono questi i caratteri italici di un meccanismo «omeostatico» (con riequilibri interni al sistema tra risparmi, consumi, investimenti, comportamenti di adattamento sommerso) che prima ha ammortizzato l’urto della crisi, ma che oggi rende più difficile volare sulle ali della ripresa.
È il ritratto di una economia in galleggiamento.
Il «tesoretto» degli italiani. 211 miliardi di euro in più accantonati negli anni della crisi (2007-2014), 36 miliardi di euro in più solo nell’ultimo anno, per uno stock complessivo di quasi 1.300 miliardi di euro in contanti e depositi bancari. A tanto ammonta il «cash to go» delle famiglie italiane. In più, c’è un boom del risparmio gestito, con le quote dei Fondi comuni aumentate nel triennio 2011-2014 di 144 miliardi di euro (un dato che supera di oltre 41 miliardi il Pil di un Paese europeo come l’Ungheria). Nel complesso, le attività finanziarie nel portafoglio delle famiglie italiane sono pari a quasi 4.000 miliardi di euro. «Meglio soldi disponibili subito» è l’hit del momento. E, per le attività che comportano qualche rischio, la parola d’ordine è comunque «tutelare il capitale investito».
Di certo c’è solo il futuro incerto. 36,4 milioni di italiani non credono che ci sarà la ripresa, 9,1 milioni ritengono che ci sarà a breve e solo 5,1 milioni pensano che la ripresa è già in atto. L’incertezza vince su tutto: il 93,9% degli italiani si sente insicuro rispetto al proprio futuro, l’87,2% rispetto al rischio disoccupazione, l’85,4% rispetto alla possibilità di sperimentare difficoltà di reddito, il 77,5% rispetto al rischio di non autosufficienza nell’età avanzata, il 74,1% per la propria vecchiaia, il 63,4% per la propria salute. Due terzi degli italiani (il 62,4%) sono convinti che nel prossimo futuro si avrà una riduzione della copertura del welfare pubblico.
Insomma, gli italiani sono ancora troppo incerti per cavalcare la ripresa.
La casa: i vecchi amori non si scordano mai. Di fronte all’incertezza, torna il mattone. Ad aprile c’è stata una impennata delle richieste di mutui: +72% rispetto all’aprile 2014. È dal giugno 2014 che le richieste di mutui crescono ogni mese con percentuali a due cifre. Nel 2014 le compravendite di abitazioni sono aumentate del 3,6% e tra gli operatori del settore cresce l’ottimismo: gli agenti immobiliari ottimisti sull’andamento degli acquisti sono il 5,5% in più rispetto ai pessimisti, mentre erano il 16,2% in meno un anno fa.
Un sommerso funzionale. Altra arma per arginare l’incertezza è il ricorso al sommerso, al riparo dalle tasse. Sono 3,1 milioni i lavoratori non regolari in Italia, pari al 12,6% dell’occupazione totale, con punte del 16,3% nei servizi di alloggio e ristorazione, del 21,9% in agricoltura, fino al 54,6% nel lavoro domestico.
Il lavoro irregolare è parte di un sommerso sempre più focalizzato sull’acquisto di servizi e prestazioni. Sono 11 milioni gli italiani che dichiarano di avere acquistato in nero, senza fattura, almeno una prestazione in un anno da strutture o professionisti della sanità (di questi, 4,2 milioni per un valore di almeno 100 euro). È un «out of pocket» fatto di soldi che girano dalle tasche dei pazienti a quelle dei professionisti sfuggendo alla tassazione.
E sono 14 milioni gli italiani che hanno acquistato in nero servizi per riparazioni o ristrutturazioni delle abitazioni.
Niente fiducia nella gestione dei soldi pubblici. L’incertezza diffusa fa il paio con la rabbiosa sfiducia nel modo in cui vengono gestiti i soldi pubblici. Il 79,3% degli italiani non ha fiducia nel modo in cui le Regioni impiegano il denaro pubblico, il 70,9% non si fida dei Comuni, il 56,9% dell’Inps. La sfiducia non risparmia le imprese private aggiudicatarie di appalti pubblici: l’85,3% degli italiani non si fida di loro.
Al contrario, la fiducia degli italiani, anche per quanto riguarda la gestione dei soldi pubblici, va alle forze dell’ordine (74,7%), al volontariato (il 67,8%) e al terzo settore (52,3%). È premiata l’attenzione al profilo morale del soggetto gestore piuttosto che alle effettive capacità di gestione. (fonte Censis) (foto Angelo Tortorella)