Veronica Raimo: la noia come principio educativo, la famiglia elettiva e il mito del genio creativo
Veronica Raimo: la noia come principio educativo, la famiglia elettiva e il mito del genio creativo
È vera, Veronica, e generosa con chi la ascolta. Così è apparsa domenica sera al Teatro Genovesi nel suo dialogo con la giornalista Francesca Salemme nell’ambito del Fuori Festival, il ciclo di incontri organizzato dal Salerno Letteratura Festival in arrivo a giugno 2022.
Col suo nuovo romanzo, Niente di vero, edito da Einaudi, presentato al Premio Strega, Veronica apre le porte della sua vita e della sua famiglia al lettore, racconta una storia che non avrebbe nulla di eroico ma tanta normalità, quella di cui solitamente ci si vergogna, che si racconta solo alle amiche, in confidenza.
E invece di eroico e sorprendente c’è proprio la scelta di rendere pubblica la normalità della propria famiglia. Quanto coraggio ci vuole? O quanto narcisismo? La scrittrice confessa di esserselo chiesto e di essere stata tormentata dalla domanda fino alla definitiva pubblicazione del libro, sfuggendo alla risposta.
L’unica strada per raccontare allora era probabilmente quella di usare un linguaggio divertente, ricchissimo e tragicomico, a tratti grottesco ma sempre, assolutamente, reale. Impossibile non riconoscersi nelle tante vicissitudini domestiche e non empatizzare con la protagonista.
La voce di Veronica è incredibilmente originale. Smonta e ricompone la famiglia tradizionale. Ogni componente ha una piccola psico-patologia: una madre guidata dall’ansia, un padre che disinfetta tutto e ha peculiari idee in merito a salute e igiene dei figli, che moltiplica spazi, costruendo tramezzi, metafora spaziale di una claustrofobia esistenziale, un fratello scrittore e genialoide e una sorella minore, Veronica, che gioca di rimessa. Timida, imbranata ai limiti della goffaggine, risulta necessariamente simpatica. Sembra spudorata, e a tratti lo è, ma al tempo stesso conserva la reticenza, quella che serve ad ognuno di noi per proteggersi là dove fa più male, dove ci sono ferite ancora non rimarginate.
Ferite che hanno contribuito a curare le amiche, quelle a cui è dedicato il libro, la famiglia elettiva che Veronica si è costruita e, come lei, forse ognuno di noi. Ironizza sui “congiunti” questa nuova categoria giuridica nata col primo lockdown e ipotizza la bellezza e la libertà di una famiglia che ci si sceglie, col cuore, persone di cui fidarsi e a cui affidarsi, anche per un periodo e non per tutta la vita, senza necessità di contratti o giuramenti. È la conseguenza della precarizzazione emotiva, come la chiama la Raimo, tipica di una generazione che non ha vissuto la guerra, la povertà, che è nata nel benessere ma che nondimeno rispetto alle generazioni passate ha sperimentato forme di abbandono e ha imparato a reinventarsi più volte nella vita. Questa disgregazione esistenziale è il fattore che ha determinato in una intera generazione uno spirito adattativo e solidarietà tra simili.
Accanto ai frammenti di vita, le riflessioni sul ruolo dello scrittore. Quanta è vera la figura mitica dell’eroe titanico solo di fronte all’immensità del mare? Per la Raimo, non è altro che una farsa. E così svela che per lei e per suo fratello la scrittura è stata innanzitutto tentativo di sopravvivenza. Sopravvivenza non ai traumi, ai dolori, alle ingiustizie, sopravvivenza alla noia di una vita normale. Chiusi in una stanza di casa da una madre troppo ansiosa per mandarli a giocare in strada, i fratelli Raimo iniziano così a inventare storie. Come quelle che Veronica inizia a scrivere nei suoi diari, per sviare le indagini materne, costruendo vite parallele alla sua, reale, segreta, quella sì.
C’è un fil rouge che lega tutti gli avvenimenti ed è l’uso della menzogna, dell’impostura, per cercare la libertà. Veronica bambina mente anche sulla propria identità e sul proprio talento, sui i propri desideri. Questa finzione cresce col tempo fino a riguardare la scrittura stessa. Si scambia articoli e racconti col fratello per mettere in dubbio il principio egotico secondo cui la penna dello scrittore è riconoscibile. E scopre che anche questo principio è truffaldino. Che non è vero che si distingue chi ha scritto cosa, che è un falso, come inaffidabile è la memoria, perché i fatti si dimenticano e perché, peggio ancora, noi stessi li manipoliamo. In questo senso, la verità stessa è qualcosa di estremamente sopravvalutato. Chissà che non sia, anche questa, l’ennesima menzogna.