Il ricco cartellone del Ravello Festival 2018 arrivato alla fine del primo mese di programmazione propone ancora grande musica riportando l’attenzione sui giovani talenti.
Mercoledì 25 luglio (ore 20)infatti, a salire sul palco del Belvedere di Villa Rufolo saranno i musicisti dell’Orchestra Nazionale Sinfonica dei Conservatori Italiani. Il festival, come da consuetudine, dà spazio ad una formazione giovanile e quest’anno la scelta del direttore artistico della sezione musica, Alessio Vlad, si è orientata sull’ensemble formato dai migliori studenti provenienti dai vari conservatori italiani, selezionati ogni anno mediante concorso presso il Conservatorio “Respighi” di Latina.
Il progetto è sostenuto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca, con l’obiettivo di far conoscere e promuovere il sistema dell’alta formazione musicale, il suo patrimonio artistico e umano.
A Ravello, l’ONCI sarà sotto la guida prestigiosa di Alexander Lonquich, nella duplice veste di direttore d’orchestra e solista al pianoforte. Lonquich, artista sensibile al collegamento fra insegnamento e pratica esecutiva, da anni è prestigioso docente alla Hochschule für Musik di Colonia, all’Accademia Musicale Chigiana di Siena, all’Accademia pianistica di Imola. In occasione di una sua recente integrale dei concerti beethoveniani (presentata anche a Ravello nel 2016), Lonquich spiegò come ama lavorare a lungo con una formazione orchestrale, in modo da creare “un proficuo sodalizio e stabilire una sintonia di intenti, di pensiero interpretativo, cosa che all’epoca di Beethoven era prassi del tutto normale…”.
Il suo concerto prediletto fra i cinque di Beethoven è proprio quello che presenta con i giovani dei conservatori italiani, il Quarto, battezzato nel corso di una ‘colossale’ Accademia, la sera del 22 dicembre 1808, al Teatro an der Wien di Vienna, accanto alla Quinta e alla Sesta sinfonia. Da subito il quarto concerto fu segnalato come una composizione particolare, fin dal celebre esordio, in cui il pianoforte, come fosse un’improvvisazione a sipario abbassato, espone il primo tema che pervade tutto il movimento con una serie inesauribile di variazioni.
All’ombra di Beethoven, fiorì l’arte di Franz Schubert, il quale però non ebbe la fortuna di ascoltare la sua ultima sinfonia, la Nona, scelta da Lonquich per la seconda parte del concerto. Eseguita undici anni dopo la morte per volere di Robert Schumann che l’aveva scoperta fra le carte conservate dal fratello del compositore, la “Grande” sinfonia in do maggiore di Schubert vide la luce sotto la bacchetta di un altro genio, Felix Mendelssohn, nel 1839 a Lipsia.