POESIA L’albergo dei morti: la nuova raccolta di poesie di Fabio Dainotti
In questi tempi moderni, in cui il romanzo si fa breve perché oltre le cento pagine i lettori si stancano di leggere e anche gli editori chiedono agli scrittori di abbreviare perché un volume troppo voluminoso (il gioco di parole è voluto) incuterebbe timore reverenziale

“L’albergo dei morti” è il titolo della raccolta di poesie di Fabio Dainotti, presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana.
L’antologia comprende versi maturati nel corso degli anni e si aggiunge ad altre pubblicazioni dello stesso Dainotti.
In questi tempi moderni, in cui il romanzo si fa breve perché oltre le cento pagine i lettori si stancano di leggere e anche gli editori chiedono agli scrittori di abbreviare perché un volume troppo voluminoso (il gioco di parole è voluto) incuterebbe timore reverenziale dagli scaffali di una libreria, scrivere poesie mi sembra già di per sé una scelta coraggiosa e un atto di fiducia nel lettore, fiducia nella sua attenzione e nella sua sensibilità.
Così immagino Fabio Dainotti pensare “con la fronte aggrottata a fischio” una prateria, la luna, un’ombra che galoppa. La sua “Ispirazione”. Se chiudo un attimo gli occhi, mi sembra di inspirarla questa serata idi cui scrive. Due righe, due versi, a volte riescono ad aprire un mondo di immaginazioni.
È una ispirazione di stampo esistenzialista quella di Dainotti, che sembra rifarsi in qualche modo ai grandi poeti novecenteschi e che, al tempo stesso, riesce a mantenere un linguaggio comune, non aulico, non artefatto, vero. C’è la vita e la morte, c’è il ricordo del passato, dell’infanzia, di chi non c’è più ma sembra “tornato ancora vivo / da dove dicono nessun torni” (Sogno premonitore) e al tempo stesso, uno sguardo volto al futuro incerto, “il domani: una carta dei tarocchi” (L’albergo dei morti).
Senza mai essere leziosi o eccessivamente languidi, questi versi al contrario sembrano materici, solidi, risoluti e forse questo li rende anche spiccatamente drammatici.
Del resto, l’Ars poetica è ben definita nell’omonima poesia:
Scriver versi fa bene e anche male:
la madre che si sgrava
prova un piacere uguale.