La maledizione del teatro di Eduardo
Poter godere delle opere di De Filippo è una benedizione ma diventa una maledizione da cui diventa difficile sfuggire, soprattutto per i cittadini campani segnati dall'imprinting del drammaturgo napoletano
L’altra sera ho guardato “Natale in casa Cupiello” diretto ed interpretato da Salemme. Durante la visione ribadivo nella mia testa ciò che pensavo da tempo; si direbbe che l’opera – più che darmi l’ispirazione – mi abbia dato lo slancio nel buttare giù – nero su bianco, i miei pensieri.
Diciamolo subito, cimentarsi con le opere di Eduardo è un fardello troppo gravoso e troppo ingombrante e, se va bene, la gente dirà: “Che bravo, mi ha ricordato De Filippo”. Ha tutto l’aspetto di una partita combattuta e finita a reti bianche, nel migliore dei casi. Ciò, a parer mio, è frustrante per la carriera di un artista. Ovviamente non è un’invettiva nei confronti di Vincenzo Salemme, artista che apprezzo da tempo immemore, il quale ha mostrato ancora una volta la sua grande maestria nell’arte teatrale. Ma sfuggire al terribile spettro del paragone è impossibile, il quale risulta ancora più impietoso negli altri interpreti. Antonella Cioli, nel ruolo di Concetta, è apparsa troppo contenuta per un ruolo cardine come il suo e lì il paragone risulta irriverente financo. Se può consolare Salemme e il suo cast, a Castellitto andò anche peggio.
Il problema è che certe opere sono talmente immortali che si conoscono a menadito: ogni singola battuta, ogni singolo movimento di scena, anche i respiri vengono scanditi dal pubblico. Parliamo non solo del grande teatro dei professionisti ma anche di quello piccolo, di periferia, in cui tanti gruppi amatoriali o poco più si lanciano nel gorgo Eduardiano. Poter godere delle opere di De Filippo è una benedizione ma diventa una maledizione da cui diventa difficile sfuggire, soprattutto per i cittadini campani segnati dall’imprinting del drammaturgo napoletano.
Inscenare “Natale in casa Cupiello” significa assecondare la sete del pubblico sul grande classico, di conseguenza gli attori si rifugiano nel tepore artistico della comfort zone teatrale ma – di fatto – comprimono sé stessi all’ombra di giganti del passato. Spingersi oltre le colonne d’Ercole, non solo nel periodo natalizio, è una rotta da seguire per solleticare la passione teatrale da ambo i lati del palco e poter finalmente svestire “la numero 10” che talvolta è più un peso che un vanto.