scritto da Filippo Falvella - 20 Gennaio 2024 09:47

Il Grande Gatsby attraverso Sartre: l’amore nella sua propedeuticità

Nel favore di mostrarsi a tutti nei canoni che riteniamo di dover seguire, dimentichiamo la vera natura che alberga in ognuno di noi, per ciascuno differente, e nella paura di non riuscire ad omologarsi attraverso quella, rinunciamo alla stessa, prendendo parte ad una vita che segue motivi che ormai neanche più ricordiamo.

Considerazioni sul “nuovo” romanticismo di massa, attraverso l’opera di Francis Scott Fitzgerald “The Great Gatsby”, e la filosofia dell’amore romantico di Jean-Paul Sartre

Nel movimento orizzontale del progresso, della formazione di nuovi valori e nuovi interessi, l’affanno prestato al potersi muovere più in avanti possibile, e nel modo più celere possibile, le dimenticanze d’un raffinamento verticale diventano sempre più evidenti. Che non si confonda in questo articolo l’intenzione di definire tale “regresso nel progresso” con la volontà di redarguire l’amoralità sempre più riscontrabile in ogni frangente dell’umana socievolezza, l’uomo è frutto dei suoi tempi e i suoi tempi sono modellati su di lui, una critica a tale condizione sarebbe una critica alla natura umana stessa, bensì si ritenga questo scritto come una più leggera analisi su quale sia l’influenza di questi nuovi modi su quelle che sono le nostre necessità più profonde, e per l’appunto verticali, quale il bisogno d’amare.

Il Grande Gatsby

“The Great Gatsby” è un romanzo di Francis Scott Fitzgerald, pubblicato a New York nel 1925, atto a ritrarre la realtà specificamente americana, ma più generalmente umana, dell’età del Jazz di quei tempi.

Così come “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo nasconde una realtà ben più autobiografica di quanto si possa aspettare, così questo romanzo ambientato a Long Island nell’estate del 1922, ritrae quelli che sono stato i problemi in prima persona del suo stesso autore.

Fitzgerald racconta tramite la tragicità degli eventi, che chi rinuncia ad una integrità data da una vita morale si trova ad affrontare, la realtà più bassa e depravata della leggerezza umana, ed il raggiungimento che ormai ci risulta sempre a noi più vicino, d’una totale decadenza di valori, là dove questi valori, non intesi in un troppo pedagogico senso di Mos Maiorum, rappresentano la libertà di poter vivere privi di condizionamento imposto da una realtà a noi alla fin dei conti lontana. Del romanzo, al fine di poter discutere sui temi che più ci interessano, è mia intenzione trattare l’opera non nel suo intero, ma sulla più specifica frivolezza dello stile di vita affrontato dai personaggi tutti e sulle relazioni da loro intercorse all’interno dello stesso.

Vittime d’una società acritica, e della perdizione d’uno stile di vita che permette di dimenticare i problemi legati allo stare al mondo in senso fisico, le storie d’amore di Buchanan, marito di Daisy, e della sua amante, e di Gatsby e della stessa Daisy, sono ben lontane dalla realizzazione d’un lieto fine. Nel termine d’una serata posta al massimo dell’assenza d’ideali di vita, in un incidente stradale causato da Daisy, la quale colpa sarà però presa in carico da Gatsby, nell’unico possibile spiraglio di sacrificio per amore dell’intero romanzo, l’amante di Buchanan perderà la vita, trascinando Gatsby in una serie di eventi che lo porteranno a perdere la vita per mano dello stesso marito di Daisy.

Il fine della vita del protagonista, così come le grandi feste date nella speranza di alleggerire un’esistenza per assurdo priva di significato, è rappresentato dalla totale assenza di lascito emotivo nei riguardi di chiunque. Il significato stesso dell’amore all’interno del romanzo, perde d’una qualunque integrità emotiva, diventando solo matrice d’irragionevole moto di disperazione.

L’amore necessario di Jean-Paul Sartre

Distaccandoci momentaneamente da quelli che sono i vincoli dettati da una vita vissuta sull’emulazione di concetti in cui davvero non crediamo, è mio interesse adesso spostare il fulcro del dibattito su un differente, quasi opposto, concetto di libertà. Nella filosofia Sartriana la libertà prende il suo spazio come struttura stessa del reale vivere, nella totale libertà di comprensione, individuazione e attribuzione ad ogni cosa dei significati più conformi al nostro modo d’essere.

La libertà è strettamente collegata alla propria individualità, e consiste dunque nell’appropriazione del mondo come interpretazione del proprio modo d’essere. Diventa sempre più chiaro adesso che la rinuncia a tale sfera di personalità si presenti come la più deleteria forma di deterioramento dello spirito, e come l’affiancarsi ad uno stile di vita dettato dalla semplice possibilità di poterlo fare, e la consequente omologazione del pensiero proprio a quello degli altri sull’autenticità di cosa conti o meno, conducano all’annichilimento della propria persona, rinunciando ad esser sè per partecipare ad un tutto di cui non si comprende neanche, presumendo che ci sia, il significato. Di questi termini di libertà lo stesso Sartre, nel frangente della passione amorosa, cercherà di instaurare una forma contrattuale di totale libertà con la parte amata, presupponendo un’amore necessario ad ogni uomo, nella ricerca di raggiungere l’infinità attraverso esso, ma la non rinuncia a qualsiasi altra esperienza d’amore, pur rimanendo vincolato alla prima parte.

L’intuizione, in un primo momento puramente teorica, del filosofo di Parigi è quella dunque che ogni uomo per vivere al meglio la vera natura di sè ha bisogno d’un amore, che diventa per l’appunto necessario, e sarà lo stesso a dimostrare in forma pratica tale intuizione attraverso la sua storia con Simone di Beauvoir. I due, giurandosi un eterno amore ideale, rinunceranno alla fine all’irrealizzabile polivalenza d’amore ideale, trovando nella rinuncia alla libertà d’un amore non esclusivo alle sole due parti interessate la vera libertà dell’amore stesso, il quale terminerà dopo 51 anni per la morte di Jean-Paul, al quale corpo sarà tenuta compagnia per l’intera notte da Simone.

L’onere del possesso

Nella morte affianco la sua amata Simone di Sartre, e la morte per causa di Daisy del signor Gatsby, troviamo una discreta analogia concernente l’esito d’una vita vissuta nell’ideale d’un determinato tipo d’amore. In entrambi i casi, indipendentemente dalle difficoltà le quali la vita tendenzialmente presenta, troviamo nel termine della propria esistenza il senso della stessa, da una parte Sartre, che professato un amore libero da ogni vincolo interpersonale, terminerà la sua vita abbracciato al vero ideale d’amore necessario in cui realmente credeva, e dall’altra Jay Gatsby, che nella costante ricerca d’un senso, seppur fuggendo dallo stesso attraverso una vita inautentica, si troverà abbandonato dall’ideale d’amore che riteneva d’aver costruito, smascherando la reale frivolezza d’ogni rapporto da lui costruito in una vita intera.

L’enorme portata nichilista del romanzo svela una realtà da noi assolutamente riscontrabile nei tempi odierni, nella costante desensibilizzazione d’una vita vissuta allo scopo dell’esperienza dimostrabile. Il seguire canoni prefissati, l’idea di dover costruire determinati rapporti per la sola necessità pratica del farlo, il bisogno d’amare ma senza amare davvero, il piacere della vita comoda senza il vero piacere di viverla, chiudendoci in una sovrastruttura di cui passivamente facciamo parte, e sempre più intrinseca a noi, tanto da diventare costante onere di seguire perfettamente ogni “obbligo” e ad ogni costo. Nel favore di mostrarsi a tutti nei canoni che riteniamo di dover seguire, dimentichiamo la vera natura che alberga in ognuno di noi, per ciascuno differente, e nella paura di non riuscire ad omologarsi attraverso quella, rinunciamo alla stessa, prendendo parte ad una vita che segue motivi che ormai neanche più ricordiamo.

E così tramite questo schema di nuovo romanticismo segue erroneamente l’amore, vero motore di libertà dell’esser noi stessi, che diviene una necessaria stabilità sociale, che da possesso diventa possedimento, che da piacevole incontro casuale diventa costante ricerca, per colmare una solitudine che temiamo di dover affrontare, e cerchiamo d’affogare in un modello di vita che non può in nessun modo colmare la realtà che andiamo sfuggendo.

Ed è in questa totale assenza d’amor proprio, di coltura del proprio io, che dell’amore abbiamo dimenticato l’unica parentesi che davvero vale la pena aprire, ed è la sua potenza di libertà, il suo atto di manifestare noi attraverso qualcun’altro, e godere della nostra persona nel pieno della sua realtà, perché in fondo, prima ancora di legarsi, amare significa amare sè attraverso gli altri.

 

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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