La mostra di orologi prorogata al 5 marzo
La mostra Tempo reale e tempo della realtà, inaugurata nella Galleria d’Arte Moderna, a Palazzo Pitti, il 16 settembre scorso e prorogata al 5 marzo, mette in scena una ricca tipologia di orologi dal XVII al XIX secolo, per la maggior parte provenienti dalle ex collezioni granducali, e poi reali, di Firenze. Curata da Enrico Colle e Simonella Condemi, la mostra è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo insieme alle Gallerie degli Uffizi e Firenze Musei.
A partire dal Cortile dell’Ammannati, all’imbocco dello scalone, si offre in tutta la sua prestanza il marmoreo Kronos, simbolo del tempo, opera di Gherardo Silvani (1621), nell’atto di divorare i suoi figli.
Una foto della prima sala, con il quadrante e gli orologi delle collezioni medicee
Una volta saliti tutti i gradoni del Palazzo, attraversando l’Anticamera degli Staffieri, si entra nella sala dove è stato allestito al suolo un grande quadrante calpestabile diviso in dodici sezioni che indicano ognuna un orologio particolarmente significativo per la storia delle collezioni del Palazzo.
Avvincente è la “sfilata” di dipinti in cui gli orologi, quasi sempre interpretati dagli storici dell’arte con speculazioni allegoriche, diventano con questa mostra protagonisti indiscussi della composizione, attirando lo sguardo sull’estetica e, se possibile, sul meccanismo. Infatti in un dipinto come Il duca Filippo di Borbone con la famiglia di Giuseppe Boldrighi (1757) è difficile notare l’orologio parzialmente nascosto dal paravento, ma il tema della mostra ci costringe e cercarlo. Ed eccolo! Si tratta di una pendola francese Luigi XV in stile rocaille che segna le dieci e un quarto.
Giuseppe Boldrighi, Il duca Filippo di Borbone con la famiglia, 1757, olio su tela, Firenze, Galleria d’arte Moderna di Palazzo Pitti (foto tratta dal catalogo)
Nella seconda sala, di fronte ai dipinti di Giuseppe Zocchi, che rappresentano la vita di corte declinata nelle varie ore della giornata, si staglia maestoso, come un armadio o un monumento in miniatura, l’Orchestrion, riccamente guarnito con intagli dorati e raffiguranti strumenti musicali entro ghirlande. Questo monumentale arredo, firmato da Christian Seyffert nel 1821, è dotato di automatismo in grado di riprodurre il suono di vari strumenti musicali collegato all’orologio, così che ad ogni ora suonava un brano musicale.
(nella foto accanto) Johan Zoffany, Autoritratto, 1776, olio su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi, Corridoio Vasariano
Nelle ultime sale diventa interessante assistere all’evoluzione dell’orologio nelle sue forme più “sportive”: dagli orologi da panciotto dei gentiluomini di pieno Ottocento, agli orologi-gioiello indossati, o sarebbe meglio dire esibiti, dalle nobildonne.
Per finire l’Autoritratto di Johan Zoffany (1776) declama l’aforisma ippocratiano “ars longa, vita brevis”, scritto in bella vista sulla copertina dell’album da disegno che fa da sfondo alla clessidra che tiene nella sinistra, quasi a volerci ricordare che l’uomo che può aspirare all’immortalità è colui in grado di impiegare il proprio tempo utilmente.
Ciò che traspare dall’allestimento della mostra è l’assenza di un adeguato percorso che guidi il visitatore sprovvisto di cultura specifica dell’argomento alla comprensione della produzione e delle peculiarità di alcuni manufatti rispetto ad altri. Resta solo la visione estetica stuzzicata dalla bizzarria e dalla rarità di alcune opere.
(nella foto a destra) Orchestrion, manifattura viennese e Christian Seyffert, 1821 (rullo musicale post 1831), legno impiallacciato di mogano, applicazioni di legno intagliato e dorato, metallo, Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti
Il catalogo, edito da Sillabe al costo di 35 €, raccoglie un cospicuo numero di schede di orologi e dipinti con fotografie di alta qualità che mettono spesso in luce il lato estetico dell’orologio, che non sempre corrisponde a quello più significativo, data l’importanza della cassa interna. Qualche domanda sorge spontanea leggendo i saggi nella prima parte del catalogo: alcuni più aderenti al tema come lo studio degli inventari della Guardaroba medicea o altri più generici sulla misurazione del tempo prima dell’invenzione dell’orologio. Ma il dubbio viene circa i saggi che si concentrano sui Giardini di Boboli o sull’abbigliamento nel XIX secolo.
(nella foto di copertina: Bottone, manifattura inglese (?), fine XVIII – inizi XIX secolo, metallo argentato, argento, smalto, Firenze, Museo della Moda e del Costume (foto tratta dal catalogo)