L’apparizione è una sensazione perché è qualcosa che il corpo percepisce. Implica una contemplazione e la disponibilità ad andare incontro all’ignoto. La capacità di sospendere i pensieri ci permette di vedere un’apparizione; avere un’illuminazione. Tuttavia in latino contemplatio è sinonimo di meditatio, perché contemplare è un processo che coinvolge anche la mente, fa meditare: senza consapevolezza non si ha apparizione. Questo in sintesi è quanto sostiene Andrea Gentile in Apparizioni (Nottetempo).
Viviamo nella società dell’apparire dove il cogito ergo sum cartesiano è stato soppiantato dall’appareo ergo sum. Tutti aspirano ad apparire, nel senso di divenire visibili: fa la differenza essere qualcuno o rimanere nessuno. L’importante è apparire in pubblico, pubblicare, non importa se si appare veri o se si ha solo l’apparenza di… Ciò che conta è figurare molto, essere appariscenti. Chi si espone finisce per offrirsi e chissà dove finisce…
Eppure, la massa vuole essere uguale a sé stessa adottando i medesimi canoni estetici e comportamentali; il concetto di unità contraddice l’aspirazione a distinguersi per essere visto, notato. Inoltre “Tutto nei social è troppo presente” scrive Gentile. Mentre un’apparizione può provenire anche dal passato. Pertanto l’apparizione di cui parla l’autore non ha nulla a che fare con la visibilità che persegue la massa per avere un istante di gloria mediatica.
Cosa dunque significa contemplare? Secondo Gentili contemplare non è stare fermi, è andare incontro al mondo, espandere il proprio templum. Il tempio era concepito dai Latini come lo spazio celeste e al contempo rappresentava lo spazio del cielo tracciato dall’augure col lituo (bastone arcuato) entro il quale egli interpretava il volo degli uccelli per cogliere gli aruspici. Ecco allora che templum significava anche lo spazio abbracciato dallo sguardo, la veduta, la distesa, lo spazio libero.
Tempus, il tempo, ha la medesima radice temp-. Gli dei avevano il dominio del tempo nel tempio perché determinavano tutto ciò che l’uomo vedeva. Come attesta la frase: deus is, cuius hoc templum est omnequodcospicis: quel dio che ha per dominio tutto ciò che vidi.
Quando gli dei apparivano era come se fossero presenti; infatti i Latini traducevano l’apparizione degli dei con deorumpraesentia. Una strana apparizione era una res mirabilis, una cosa che destava meraviglia. Ma visum era una visione che si aveva durante il sogno: in somnisimaginemalicuius video, che significa: mi appare nel sogno qualcuno. Mentre se qualcosa mi appare nella fantasia e mi sembra presente si diceva: aliquidmihiadessevidetur.
Si può quindi avere una contemplatio, contemplazione, che proviene dagli occhi o dalla mente. Certo è che quando io contemplor, non sto lì imbambolato ma guardo attentamente, considero, osservo.
Da qui a disprezzare, contemptor, il passo è breve; in effetti cambia solo una consonante. Scrive Seneca: minime sui contemptor, per nulla disposto a far poco conto di sé. E ritorniamo alla società dell’apparire.
Invece l’apparizione, come dicevamo, è illuminazione. Ma può ben presto trasformarsi in una illusione ossia una falsa imago, un errore che proviene dagli occhi, oculorumerror, ma pure dalla mente, mentis error. Quando mi illudo, mi inganno, me fallo. Questo perché ripongo false speranze: quaminanesspes! L’aggettivo illusorio si traduce con fallax, vanus, inanis, falsus.
Piccole, ma raffinate differenze che hanno un grande significato sia di percezione che di differenziazione delle sensazioni, utili per averne consapevolezza. Ma si possono scoprire solo consultando il vocabolario della lingua latina Castiglioni Mariotti.