Spesso noi cronisti attendiamo un qualche evento per poter parlare di illustri personaggi contemporanei: non so quanti, me compreso, avrebbero parlato di Luciano Rondinella se non fosse stata annunciata la sua morte, che ha fatto emergere i ricordi e approfondirne la vita; e ho constatato che quanto ho scritto per Luciano Rondinella è stato molto gradito anche dai lettori di questo giornale.
Di Valerio Zurlini non c’è alcuna circostanza della sua vita o della sua carriera che ce lo abbia riportato alla memoria, se non la proiezione, qualche sera fa, peraltro su una rete televisiva nazionale non tanto seguita, di un suo bel film del 1961, “La ragazza con la valigia”, interpretato da una giovanissima e veramente bella Claudia Cardinale, l’aspirante attrice Aida, insieme a un quasi adolescente Jaques Perrin, un attore francese che è stato protagonista di quasi tutti i film di Zurlini, nel ruolo di Lorenzo il ragazzo che ha preso una gran cotta per la bella Aida, ma anche da vecchi attori, alcuni dei quali allora giovanissimi, come Renato Baldini, Corrado Pani, Gian Maria Volontè, insieme ad altri più maturi come Riccardo Garrone e Romolo Valli.
“La ragazza con la valigia” è uno dei tanti film intimisti, molto delicati, che ha realizzato Valerio Zurlini nella sue amate terre Emiliane-Romagnole, protagoniste anch’esse di quasi tutti i suoi film, drammatici ma leggeri, che si fondano tutti sulla intima disperazione di personaggi che tentano di tutto per realizzare i loro sogni, ma che alla fine sono costretti ad accettare ciò che la vita riserva loro, cadendo in una realtà spesso distante anni luce dai sogni.
In Valerio Zurlini, come in tanti altri registi italiani dell’epoca, questi temi sono ricorrenti, appaiono in tutti i film, pure nell’ultimo, il meno italiano di tutti, “Il deserto dei Tartari” tratto dal romanzo di Dino Buzzati, che esprime la intensa speranza di un evento che probabilmente mai si verificherà, ma da tutti vivamente atteso, e la cui mancanza sarà oggetto della loro finale disperazione, pur’esso interpretato da Jaques Perrin ormai maturo, unitamente a tanti altri attori tra i quali il nostro Vittorio Gassman.
Sono film che hanno formato generazioni ormai anziane, ma che vengono ricordati con tanta nostalgia perché ricordano un periodo storico importante del nostro paese e della nostra vita, ormai avviato sulla strada della ripresa economica dopo i disastri della guerra, ma durante il quale non tutti riuscivano a salire sulla “corriera” giusta, e che spesso si concluderanno amaramente, come ne “La ragazza con la valigia”, o drammaticamente, come ne “La prima notte di quiete” che da allora (parlo del 1972, 48 anni fa) mi è rimasto appiccicato addosso e il cui ricordo ti accompagna per la intera vita.
Tra i due quello per me maggiormente rappresentativo è stato proprio “La prima notte di quiete”, tratto da un soggetto dello stesso Zurlini (era un appassionato analizzatore dall’intimismo e dalla disperazione dei personaggi), con un Alain Delon introverso e realista, il quale alla fine trova una morte drammatica che gli farà raggiungere, appunto, “il primo giorno di quiete”, secondo il senso del titolo, espressione coniata dal filosofo, drammaturgo e scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, il quale con questo aforisma indicava proprio la fine della vita per il conseguimento della vera e definitiva quiete.
Non vorrei intristire ulteriormente i lettori, ma purtroppo non trovo nelle opere cinematografiche di Valerio Zurlini uno spunto diverso, qualcosa che possa riportarci ad avere fiducia in questa vita, che egli lasciò a solo 56 anni.
Era nato a Bologna il 19 marzo 1926, da genitori romani trasferiti a Verona, e frequentò il liceo presso la scuola dei Gesuiti, terminato il quale Zurlini trascorse a Riccione l’ultima sua vacanza spensierata, prima di arruolarsi nel “Corpo Italiano di Liberazione” per collaborare alla lotta contro il nazi-fascismo: quella esperienza la riverserà nel film del 1959 dal titolo “Estate violenta”.
Dopo la guerra si laurea in Giurisprudenza e segue corsi di Storia dell’arte, a fa qualche esperienza di teatro presso la Facoltà di Lettere di Roma.
Poi va a Milano dove per oltre un anno collabora come aiuto-regista al Piccolo Teatro di Milano, che allora nasceva.
A cavallo tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 gira diversi cortometraggi dando prova di acuto spirito di osservazione: erano filmati che nella generalità dei casi venivano proiettati come intrattenimento nelle sale cinematografiche, intervalli tra uno spettacolo e l’altro, dai quali, quindi, si ricavava ben poco.
I suoi “corti” però vengono notati e apprezzati da Pietro Germi il quale segnala Zurlini alla Lux Film, all’epoca una delle principali case cinematografiche.
Zurlini si fa le ossa e inizia anche la sua collaborazione con il musicista Mario Nascimbene, che firmerà le colonne sonore di diversi suoi film, la Lux Film gli affida qualche lavoro fino a commissionargli il Film “Le ragazze di San Frediano” dal romanzo di Vasco Pratolini, che uscirà nelle sale a dicembre 1954.
Oramai Zurlini è un beniamino e del pubblico, un po’ meno della critica, ma non si affanna a girare altri film: infatti trascorreranno cinque anni per il suo secondo film importante, proprio “La ragazza con la valigia” per il quale collabora anche alla sceneggiatura, che verrà presentato al “Festival di Cannes”, e per il quale riceverà in premio “Il nastro d’argento”.
Valerio Zurlini passa poi alla Titanus e gira, nel 1959, “Estate violenta”, una storia d’amore tra uno studente e una donna matura, ambientata a Riccione negli anni della seconda guerra mondiale, affidata alla interpretazione di Eleonora Rossi Drago, Jean-Luis Trintignant, Jacqueline Sassard, Enrico Maria Salerno e Raf Mattioli, per citare solo i principali.
Subito dopo, nel 1961, gira “La ragazza con la valigia”.
Seguiranno nel 1962 “Cronaca familiare” dal romanzo di Vasco Pratolini, che vincerà il Leone d’oro a Venezia; nel 1965 “Le soldatesse”, storia ambientata nella Grecia occupata dagli italiani nel 1942.
Seguirà un periodo di stasi fino al 1972 con “La prima notte di quiete”, che diventerà il maggior successo commerciale di Zurlini; pure se la critica inizialmente sembrò tiepida, ebbe un grande successo di pubblico.
Negli anni successivi Valerio Zurlini fa qualche esperienza teatrale, con Anna Proclemer, Mario Feliciani, Daniela Nobili e Virgilio Zernitz, dirigendo un copione scritto dalla stessa Proclemer.
Poi inizia un progetto sulla vita di San Paolo, che non verrà portato a termine, frattanto nel 1976 realizza “Il deserto dei Tartari”, l’ultimo sua lavoro cinematografico di rilievo mondiale.
Nonostante i successi e la notorietà, Zurlini non riuscì a dare concretezza ad altre attività, dedicandosi negli ultimi anni all’insegnamento presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, e alla direzione del doppiaggio di film stranieri, tra i quali “Il cacciatore” di Michael Cimino.
Morì a Verona il 26 ottobre 1986 a seguito di una emorragia gastro-enterica conseguenza della cirrosi epatica della quale soffriva da anni.
Recentemente Alain Delon ha scritto sulla sua pagina FB: “Lascerò questo mondo senza sentirlo. La vita non ha più nulla da offrirmi, ho visto tutto, ho sperimentato tutto. Ma soprattutto odio l’era attuale, mi fa male. Tutto è falso, tutto è sostituito, non c’è rispetto per la parola data, ora tutto ciò che conta sono soldi e ricchezza! So che lascerò questo mondo senza dispiacermi!”.
La prima notte di quiete, appunto!