Le appena concluse elezioni di mid-term negli Usa, che sono state considerate anche un test sul biennio del Presidente Donald Trump, hanno determinato un piccolo terremoto nella politica statunitense. Non era dato per scontato che uno dei due organismi congressuali passasse ai Democratici, visto i notevoli risultati economici ottenuti dal Presidente: disoccupazione ai minimi livelli, economia in costante crescita, consenso di ampi strati della popolazione e non solo quelli della finanzia e della economia.
Sebbene Trump abbia incassato da par suo l’amara pillola, mascherando l’insuccesso con il suo consueto, arrogante e irritante stile, è innegabile che da oggi la guida del “grande paese” non sarà più per lui un percorso privo di ostacoli, e il timore che la perdita della Camera dei rappresentanti, la cui maggioranza è ora in mano ai Democratici, possa in qualche modo ostacolarlo, o addirittura disarcionarlo, è più che fondato.
Cerchiamo di comprendere il perché.
Sebbene il Presidente degli Stati Uniti D’America abbia tantissimi poteri, che sembra esercitare quasi senza controllo, in effetti il sistema politico statunitense, fondato sulla Costituzione del 1787, è un non semplice “puzzle” basato sul “Congresso”, detentore del potere legislativo e non solo, e sul detentore del potere esecutivo che è il Presidente; quest’ultimo, per fare una esempio molto superficiale, rappresenta ciò che in Italia è il nostro Presidente del Consiglio, con la differenza che da noi il Premier è condizionato dai Ministri, espressione di coalizioni di partiti o di schieramenti, con i quali deve continuamente mediare, mentre negli Usa il Presidente governa da solo.
Questa differenza dà l’impressione che il Presidente degli Usa abbia un potere assoluto, quasi dittatoriale, e in parte è così. Ma chi ha scritto la Costituzione americana si è preoccupato di creare un bilanciamento di poteri tra quello esecutivo e quello legislativo, e quest’ultimo ha anche ampi poteri di controllo e censura sull’operato del Presidente.
Il potere legislativo e di controllo è esercitato dal Congresso che è formato dalla “Camera dei Rappresentanti” e dal “Senato”; la “Camera” è composta da 435 membri eletti direttamente dagli elettori e rappresenta il popolo; il “Senato” è composto da 100 membri, rappresenta gli Stati, ciascuno dei quali elegge due rappresentanti, indipendentemente dal numero degli abitanti di ciascuno di essi.
Camera e Senato sono, quindi, organi elettivi e sono composti da membri che possono far parte di entrambi i partiti, quello Democratico (di orientamento centro-sinistra, per dirla all’italiana, più sensibile ai bisogni delle masse), e quello Repubblicano (orientato a destra, come diremmo qui da noi), meno sensibile ai bisogni delle masse, più a quelli della finanza, dell’imprenditoria, dei capitali e dei poteri forti dell’economia.
Il Presidente degli Usa viene eletto direttamente dal popolo il quale elegge pure i rappresentanti della Camera e del Senato; e giacché negli Usa l’elettorato è diviso tra quei due grandi partiti, può capitare che il partito che esprime il Presidente abbia pure la maggioranza alla Camera e al Senato, com’è stato finora nel primo biennio dell’amministrazione Trump; con la conseguenza che il Presidente, controllando anche gli organi che lo dovrebbero “controllare”, faccia il bello e il cattivo tempo, come appunto è avvenuto finora per Trump.
Questo è un “vulnus” di democrazia, diremmo noi, ma negli Usa è così, ed è per questo che c’è chi dice che la democrazia americana non è una vera e propria democrazia in quanto, pure prevedendo teoricamente, un bilanciamento dei poteri, in pratica in talune circostanze tale bilanciamento non c’è e, come nel primo biennio di Trump, tutto il potere si concentra nelle mani del Presidente.
Il Congresso si rinnova ogni due anni (il mandato del Presidente è di quattro anni), ed è per questo motivo che tutti i Presidenti sono molto attenti alle elezioni biennali, denominate di mid-term, perché esse costituiscono anche il primo test col quale l’elettorato giudica l’operato del biennio presidenziale.
Ma la cosa non finisce qui, perché i due rami del Congresso hanno poteri simili ma non identici.
La Camera dei rappresentanti ha in via esclusiva il potere di “impeachment” (messa in stato di accusa), vale a dire il rinvio a giudizio di titolari di cariche pubbliche che si ritiene abbiano commesso illeciti nell’esercizio delle loro funzioni; tra essi anche il Presidente.
Trump teme che la Camera possa avviare tale procedura in quanto su di lui gravano diversi sospetti che nel biennio trascorso non gli hanno fatto dormire sogni tranquilli, a causa dell’operato di diversi suoi stretti collaboratori, tra i quali Paul Manafort, ex manager della sua campagna elettorale, condannato per otto capi di imputazione, cinque dei quali per frode fiscale; e Michael Cohen, suo ex avvocato personale, che ha ammesso di aver violato la legge sul finanziamento della campagna elettorale di Trump per questioni di donne: con i fondi della campagna elettorale sarebbero state “ristorate” due “conigliette” amiche del Presidente.
Inoltre direttamente su Trump grava lo spettro del “Russiangate”, inchiesta sulle presunte ingerenze della Russia di Putin sulla campagna elettorale, che coinvolge anche Cohen, nel quale è implicato pure l’ex suo ministro della Giustizia, Jeff Sessions, immediatamente dimissionato da Trump dopo i risultati delle elezioni di mid-term, che al suo posto ha nominato Matthew Whitaker, meno esperto ma ritenuto più affidabile e fedele.
Coloro che vorrebbero avviare la procedura di “impeachment” sostengono che Trump si sia macchiato del reato di “tradimento, corruzione e altri crimini e misfatti gravi” in base all’art. 2 della Costituzione del 1787. Ma c’è chi sostiene che è improbabile che Trump possa venir incriminato in quanto sembra che una vecchia norma del Dipartimento della Giustizia lo impedisca, e anche un giornale prestigioso come il Washington Post lo conferma.
Benvero la procedura dell’ “impeachment” deve essere votata anche dal Senato con una maggioranza che potrebbe essere difficile raggiungere (67 voti, mentre i democratici ne hanno solo 49); complessivamente più delle metà del Congresso dovrebbe sfiduciare il Presidente, giudicandolo colpevole delle accuse che gli vengono fatte, e la cosa sembra poco probabile. Ma è comunque imprevedibile l’ “effetto trascinamento” giacché, quando un fiume rompe gli argini, non si può mai prevedere quanti altri torrenti si tiri dietro.
Insomma il nebuloso universo di Trump, finora blindato dal controllo su Camera e Senato, potrebbe sgretolarsi per la diversa composizione della Camera, ora a maggioranza democratica, la quale, esercitando anche il controllo sulle leggi di origine presidenziale, potrebbe rendergli molto difficili i prossimi due anni, impedendogli di realizzare le tante controverse riforme sulle quali ha fondato l’ampio consenso ottenuto.
Tant’è che Trump, ora definito “lame duck” (anatra zoppa), per arginare una deriva che potrebbe mettergli pesanti palle al piede, ha inneggiato alla figura carismatica di Nancy Pelosi, la democratica che sembra avviata ad assumere il ruolo di “Portavoce” della Camera, vale a dire rappresentante della stessa in seno al Congresso, personaggio molto benvoluto e influente.
Questo è lo stato dell’arte, dal quale potrebbe derivare un reale ridimensionamento del Presidente; ma tale ipotesi, conoscendo Trump, sembra poco probabile, pertanto staremo a vedere in che modo il Tycon Presidente imposterà il suo futuro.