Unione Europea verso il voto, il Manifesto di Ventotene e i Padri Ispiratori: Eugenio Colorni e Ernesto Rossi
Proseguiamo le nostre note sull’Unione Europea con brevi cenni sulla vita e sull’impegno politico degli altri due Padri del Manifesto di Ventotene, Eugenio Colorni e Ernesto Rossi, i quali collaborarono con Altiero Spinelli.
Eugenio Colorni, è stato il meno longevo tra gli estensori del Manifesto di Ventotene in quanto, nato a Milano il 22 aprile 1909, morì a Roma il 30 maggio 1944 e non poté vedere realizzata la Unione Europea alla quale tanto aspirava.
E’ stato filosofo e politico antifascista, e per questo anch’egli venne confinato a Ventotene dove, insieme ad Altiero Spinelli a ad Ernesto Rossi collaborò alla redazione del famoso Manifesto.
La famiglia era di origini ebraiche, il padre Alberto, mantovano, era commerciante; la madre Clara Pontecorvo, milanese di origini pisane, era la zia del fisico Bruno Pontecorvo (conosciuto anche come “il cucciolo tra i ragazzi di via Panisperna”), del Regista Gillo Pontecorvo (famoso, fra l’altro per il film “La battaglia di Algeri” girato nel 1966), ed era imparentata con altri personaggi della scienza e della cultura.
Aveva frequentato il Ginnasio e Liceo a Milano, appassionandosi agli studi di Benedetto Croce. Un parente lo avvicinò giovanissimo al sionismo, inteso come autodeterminazione del popolo ebraico.
Iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia, conseguì la laurea nel 1930 con una tesi su Gottfried Wilhelm von Leibniz, matematico, filosofo e scienziato tedesco del 1600, le cui opere influenzarono notevolmente Colorni.
Era amico di Guido Piovene, ebbe contatti con Benedetto Croce, collaborò con Vittorio Foa.
Durante un viaggio in Germania nel 1931 incontrò Ursula Hirschmann, anche lei ebrea, che avrebbe sposato nel 1935; pure la moglie collaborò alla redazione del “Manifesto” e nelle attività successive.
Nel 1934 insegnò Filosofia e Pedagogia presso l’Istituto Magistrale di Trieste, dove conobbe Umberto Saba.
Dal 1935 in avanti Eugenio Colorni intensificò il suo impegno politico contro il Regime Fascista ed entrò in contatto con il Centro Interno Socialista conoscendo Rodolfo Morandi, Lelio Basso, ed altri storici socialisti; e quando nell’aprile 1937 molti di essi furono arrestati, Colorni divenne responsabile del Centro, ed entrò in contatto anche con Pietro Nenni e Carlo Rosselli.
Nel settembre 1938, all’inizio della campagna raziale del Fascismo, venne arrestato e incarcerato a Varese. Ma il Tribunale Speciale non riuscì a trovare elementi per processarlo, ciononostante anche Colorni venne confinato a Ventotene, dove conobbe Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. In quel periodo aderì alle idee federaliste europee di Spinelli e Rossi, insieme ai quali nel 1941 avrebbe sottoscritto il famoso “Manifesto”.
Nell’ottobre 1941, grazie ai contatti avuti con il filosofo simpatizzante fascista Giovanni Gentile, riuscì a farsi trasferire a Melfi, dove nel 1943 riuscì a scappare, e si rifugiò a Roma, dove collaborò alla organizzazione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Nell’agosto 1943, insieme a Spinelli, Rossi, Rossi-Doria, Foa e altri partecipò alla riunione che diede vita al Movimento Federalista Europeo che adottò come programma proprio il Manifesto di Ventotene.
Dopo l’8 settembre 1943, partecipò attivamente alla Resistenza a Roma, divenne anche Redattore capo dell’ “Avanti”, si impegnò nella ricostruzione della Federazione Giovanile Socialista Italiana e alla formazione della formazione partigiana che prese il nome di “Prima Brigata Matteotti”.
Nel gennaio 1944, nella capitale ancora occupata dalle forze Naziste, riuscì a stampare 500 copie del libro “Problemi della Federazione Europea” che conteneva anche il Manifesto di Ventotene.
Pochi giorni prima della liberazione di Roma, il 28 maggio 1944 venne catturato dalla famigerata brigata fascista nota come la “Banda Koch” e, nel tentativo di fuga, venne ferito gravemente; sarebbe morto due giorni dopo all’Ospedale San Giovanni, con la falsa identità di Franco Tanzi; aveva solo 35 anni. Due anni dopo gli venne conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
Il terzo Padre del Manifesto di Ventotene fu Ernesto Rossi, politico, giornalista ed economista campano, antifascista come gli altri due. Era nato a Caserta il 26 agosto 1897 e, a solo diciotto anni, partecipò come volontario alla prima guerra mondiale, rimanendo colpito dagli orrori che essa provocò.
Nel primo dopoguerra, si avvicinò ai nazionalisti del “Popolo d’Italia”, diretto da Benito Mussolini, con il quale collaborò dal 1919 al 1922; il suo avvicinamento a Mussolini fu una reazione all’atteggiamento dei socialisti, i quali mostravano aspra ostilità nei confronti dei reduci della “grande guerra”; essi non solo avevano dovuto subire i disagi delle azioni belliche, ma venivano pure additati e beffeggiati, come se fossero stati responsabili della stessa: una enorme stupidità, mai chiarita né giustificata da una certa sinistra che allora, come anche dopo, stentava a comprendere la differenza tra chi quella guerra l’aveva voluta e promossa e chi, invece, l’aveva solo subita, compresi i soldati, e che alimentò le aspirazioni che avrebbero portato al ventennio fascista.
Ernesto Rossi conobbe, in quel periodo, Gaetano Salvemini -storico e politico, uno dei più attenti studiosi della “questione meridionale” – al quale lo legò amicizia e stima, e contribuì a farlo allontanare dalle posizioni che lo avevano avvicinato alla ideologia fascista.
L’amicizia con Salvemini fu determinante per la vita di Ernesto Rossi, aprendogli la mente sulla violenza fascista, tant’è che nelle sue memorie lasciò scritto “se non lo avessi incontrato sulla mia strada al momento giusto, sarei facilmente sdrucciolato anch’io nei Fasci di combattimento”.
Nel 1925, insieme al “gruppo dei salveminiani”, diede vita al giornale “Non mollare”, e aderì al gruppo “Giustizia e Libertà”.
Per la determinazione con la quale si opponeva al regime fascista, venne arrestato il 30 ottobre 1930 e condannato dal Tribunale Speciale a 20 anni di carcere, e dopo nove di galera venne confinato a Ventotene, conoscendo Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni, con i quali collaborò alla stesura del “Manifesto”.
Dopo la liberazione, come rappresentante del Partito d’Azione, divenne Sottosegretario alla Ricostruzione nel Governo diretto da Ferruccio Parri e, fino al 1958, fu Presidente dell’ ARAR, Azienda di Rilievo Alienazione Residuati, che si occupò della vendita di beni e materiali bellici confiscati all’esercito nemico o abbandonati dagli eserciti alleati; l’incarico gli venne poi confermato anche da Alcide De Gasperi.
Allo scioglimento del “Partito d’Azione”, Ernesto Rossi aderì al Partito Radicale, allora guidato da Mario Pannunzio, e si dedicò al giornalismo collaborando, fino al 1962, con il settimanale “Il Mondo” che lo stesso Pannunzio dirigeva.
Molti furono i suoi scritti, che vennero poi raccolti in alcuni volumi. Nel 1966 gli fu conferito il premio Francesco Saverio Nitti; morì nel 1967, dopo aver scritto in una lettera indirizzata al suo amico Riccardo Bauer un messaggio che risulta quasi un presagio: “Io non ho mai avuto paura della morte. Mi è sempre sembrata una funzione naturale, inspiegabile com’è inspiegabile tutto quello che vediamo in questo porco mondo. Crepare un po’ prima o un po’ dopo non ha grande importanza: si tratta di anticipi di infinitesimi, in confronto all’eternità, che non riusciamo neppure ad immaginare. Ma ho sempre avuto timore della “cattiva morte”. (3- segue)