L’attentato a Mussolini di domenica 31 ottobre 1926 avrebbe potuto cambiare la storia del Paese
Quel giorno Benito Mussolini festeggiava il quarto anniversario della sua nomina a capo del governo e, insieme ad un corteo di seguaci e sostenitori, stava tornando in auto dopo aver inaugurato lo Stadio del Littorio a Bologna.
I fascisti bolognesi poco prima dell’attentato avevano impiccato un fantoccio per intimorire gli eventuali attentatori; su un cartello erano scritti i nomi di coloro che fino a quel giorno avevano compiuto attentati a Mussolini, due solo in quell’anno: Zaniboni, Gibson, Lucetti, Capello.
Il corteo si diresse verso la stazione, e raggiunse l’incrocio tra via Rizzoli e via dell’Indipendenza.
Si sentì uno sparo, a sparare era stato Anteo Zamboni, un quindicenne bolognese che venne immediatamente bloccato dagli squadristi fascisti che lo massacrarono a pugnalate, poi lo spogliarono e lo finirono con un colpo di pistola.
Uno degli squadristi che partecipò al linciaggio del quindicenne, fu Carlo Alberto Pasolini, padre di Pier Paolo Pasolini.
Il proiettile attraversò un cordone che Mussolini indossava a tracolla, colpì il bavero della sua giacca e perforò il cappello a cilindro che il sindaco Umberto Puppini teneva sulle ginocchia, finendo nell’imbottitura dell’auto.
L’attentato a Bologna del 1926 fu uno degli episodi più oscuri del ventennio fascista, con molte ombre mai ben chiarite, e non si raggiungerà mai una versione unanime e definitiva dell’accaduto.
Le ipotesi sono due.
Complotto di Anteo
Questa tesi sostiene che sia stato Anteo, il giovane attentatore, ad agire, o di sua iniziativa o con l’istigazione della famiglia.
Fu ciò che sostenne la condanna del Tribunale Speciale, incaricato di indagare sull’accaduto: condannò Mammolo Zamboni e la zia Virginia Tabarroni a 30 anni di reclusione (i due verranno graziati nel 1932) per aver comunque influenzato il giovane nelle sue scelte.
In effetti, Il padre di Anteo, Mammolo, era un ex anarchico: in origine il nome del ragazzo era proprio “ateo”, a conferma delle vecchie convinzioni del padre, cambiate poi con il suo ri-avvicinamento al cristianesimo.
La condanna fu così rigida non casualmente: rifletteva l’idea che attentare alla vita di Mussolini equivaleva ad attentare alla vita dello stato: lo scopo era di rendere il fascismo non più solo un’idea all’interno di uno Stato, ma lo Stato stesso.
Ad ogni modo, si dubita che i familiari fossero coinvolti.
Il padre era sì un ex anarchico, esperienza non poi così strana, se pensiamo al periodo e al fatto che Bologna sicuramente non è mai stata la città più reazionaria d’Italia, ma poi si era convertito al fascismo, tanto che, da tipografo, stampava fogli di propaganda.
Lo stesso presidente del Tribunale Speciale Guido Cristini, nel 1932, dirà di averli condannati entrambi pur essendo innocenti, perché così gli era stato ordinato dal Duce.
Per queste sue parole dovrà poi dimettersi.
Se Anteo è l’artefice dell’attentato, la famiglia non sembra fosse coinvolta.
Ma il “se” è d’obbligo in quanto vi è una seconda ipotesi, quella del complotto fascista.
Il complotto fascista
All’epoca il fascismo stava iniziando a prendere l’immagine che conosciamo. Si preparavano le parate, l’uso del voi romano, le leggi fascistissime, il culto della personalità.
La fazione guidata dal ras di Cremona, Roberto Farinacci, si opponeva a tutto ciò, e portava avanti una spietata opposizione interna a Mussolini.
Tra i componenti di questa fazione c’era anche Leandro Arpinati, squadrista di Bologna.
E infatti si pensò a un loro possibile coinvolgimento, in una congiura interna al PNF: ufficialmente le indagini erano rivolte verso la famiglia Zamboni, ma ufficiosamente anche Arpinati e Farinacci ne furono coinvolti.
In particolare si scoprirono due cose.
Farinacci, l’unico gerarca non invitato all’evento, era presente a Bologna in quei giorni e si aggirava accigliato per il centro della città.
Mario Cutelli, un violento sicario simpatizzante della fronda farinacciana, era nel luogo dell’attentato.
Ciò significherebbe che in realtà Zamboni fosse innocente, ma incolpato casualmente grazie a uno scambio di persona.
A sostegno di questa ipotesi ci sono le testimonianze discordanti sull’aspetto e abbigliamento dell’attentatore e il revolver del ragazzo trovato ancora carico.
In ogni caso, per ordine del Duce stesso, si preferì non approfondire questa pista.
Non si saprà mai cosa sia realmente accaduto e quale sia la verità, probabilmente morta con Anteo.
Ma sta di fatto che questo episodio è uno di quei “se” che avrebbero potuto davvero cambiare la storia d’Italia, e forse dell’Europa.