In che modo i soldati possono superare la paura di morire prima di iniziare una battaglia?
Mai come ora questo argomento è di attualità visto che, purtroppo, la guerra imperversa quasi alle porte del nostro paese e, nonostante le tante speranze che i vari potenti della terra alimentano, non si intravedono spiragli di tregua.
Per ultimo ci ha provato Papa Francesco, che, dopo aver parlato a lungo con il Patriarca della Chiesa Ortodossa Cirillo I, noto come Kirill, il quale sembra asservito a Putin, e francamente, visto ciò che è accaduto, non se ne comprende il motivo (non vogliamo credere a interessi economici), ha deciso di voler andare in Russia a parlare con Putin, e sembra che qualche spiraglio si stia aprendo.
Tutto il mondo guarda con tanta speranza a questa iniziativa, ma intanto la tragedia dell’Ucraina continua, e non è l’unico paese che sta bruciando.
Parliamo dell’Ucraina perché dopo settanta giorni dalla sua invasione da parte dell’esercito russo, le cose vanno sempre peggio, delle violenze si sono persi i conti, non sempre legate alle azioni di guerra, come quelle dei soldati contro cittadini inermi e indifesi: talvolta sembra che i militari sembrano assetati di sangue oltre il dovuto, tant’è che c’è chi sospetta che essi assumano sostanze che li “aiutino” in tali comportamenti.
E non sarebbe la prima volta.
Spesso nella storia i soldati venivano incoraggiati (se non obbligati) ad utilizzare sostanze che permettevano di percepire una distaccata euforia, un coraggio indotto artificialmente tramite alcol e droghe (sintetiche o naturali).
Il vino è stato il primo mezzo tramite cui i soldati prendevano coraggio il primo esempio della storia occidentale fu quello degli opliti delle falangi greche, euforici si gettavano in feroci combattimenti corpo a corpo senza badare né alla morte né al dolore; ma è anche opportuno ricordare che il vino, e anche le droghe, non aveva solo un uso euforizzante, ma anche un uso finalizzato a mantenere alto il morale durante le marce estenuanti e le lunghissime campagne militari, sentire meno la stanchezza sia fisica che psicologica.
Più avanti nella storia gli Unni e verosimilmente anche i Galli ricorsero a sostanze alteranti, una di queste era l’ “Amanita muscaria” (un fungo semi-velenoso che viene solitamente mangiato fresco o dopo parziale essiccamento, entro 30/60 minuti dall’ingestione procura uno stato di eccitazione simile a quello indotto da dosi eccessive di alcool, cui seguono sonnolenza, contrazioni muscolari, bradicardia, delirio e perdita di coscienza) da cui traevano il “furore e lo sprezzo della morte” tanto da lanciarsi all’assalto nudi e in preda a una frenesia allucinata.
Nel Medioevo i soldati utilizzarono l’ “hashish” per stimolare la propria aggressività e, senza accorgersene, provare una forte obbedienza e dedizione assoluta ai loro comandanti. Lo stesso Marco Polo fu testimone degli effetti che questa sostanza creava nei combattenti cinesi.
Si dovrebbe parlare molto di più e più approfonditamente dell’uso sistematico, straordinario e obbligatorio che venne fatto dai tedeschi nella Seconda guerra mondiale del “Pervitin”, una droga derivata dall’efedrina tanto potente quanto devastante che donava a chi la ingurgitava una totale mancanza di stanchezza, un’euforia folle, una visione ampliata dei colori e una percezione estasiata delle sensazioni.
Con quella droga i soldati tedeschi erano in grado di attraversare foreste anche correndo, di guidare mezzi corazzati per decine di ore senza fermarsi o dare segni di stanchezza, di combattere anche in minor numero e nella piena notte senza paura o dubbio alcuno, avevano la impressione di essere invincibili.
Nemmeno Adolf Hitler ne era immune, si faceva iniettare dal suo medico personale Theodor Morell un cocktail a base di ossicodone, un farmaco prevalentemente antidolorifico appartenente alla classe degli oppioidi, anche oggi uno dei più diffusi al mondo.
Pure nell’esercito alleato occidentale i casi di droghe e allucinogeni sono numerosi, seppur meno citati: l’utilizzo di inglesi e americani della “Benzedrina” non fu solo incoraggiato fra i propri ranghi ma anche promosso nei manifesti di propaganda, non per nulla gli inglesi ne acquistarono 72 milioni di confezioni, gli statunitensi 250 milioni.
Ovviamente l’uso di questi prodotti è folle ma, purtroppo, necessario e sembra che nessun esercito, dall’antichità fino ad oggi, ne abbia fatto a meno, ma la maggiore conoscenza e diffusione sembra sia stata da parte dei soldati americani durante le operazioni militari in Vietnam, i soldati americani non si facevano mancare di abusare di “adrenalina” per non sentire né paura né stanchezza, o anche l’uso di erba per rilassarsi tra una battaglia e l’altra.
Qualche cenno storico delle droghe nelle popolazioni del medio oriente.
Il problema di uso e abuso di sostanze psicotrope, siano esse droghe leggere o pesanti, non è un fenomeno moderno. Ma, pure se nell’antichità era molto più facile trovare sostanze (oggi illegali) nei mercati cittadini o dal proprio speziale di fiducia, la loro legalità e i comportamenti originati dal loro abuso furono per secoli oggetto di dibattito.
La marijuana anche in passato ha conosciuto oppositori e sostenitori incalliti.
Nel mondo medievale arabo era conosciuta sotto diversi nomi, primo tra tutti “l’Erba”; la si poteva trovare nei mercati egiziani medievali e veniva impiegata per produrre hashish, consumato quotidianamente da una fetta di popolazione locale tra il XIII e il XV secolo.
Nel 1971, Franz Rosenthal, in un una sua pubblicazione, esamina l’uso della marijuana nella società medievale islamica, mostrando un quadro sociale e giuridico non molto differente da quello moderno.
Nell’ Egitto medievale i reperti archeologici suggerirebbero che la cannabis fosse presente già 5.000 anni fa, ma non si ha alcuna prova del suo utilizzo psicoattivo o ricreativo.
La divinità egizia Seshat, dea della saggezza, della scrittura, delle scienze e dell’architettura, viene quasi sempre raffigurata con un emblema a sette punte sopra la testa, un emblema che per alcuni sarebbe riconducibile alla foglia di cannabis.
Il ricercatore H. Peter Aleff, nell’articolo “Seshat and her tools”, cannabis: “Molti egittologi hanno speculato a lungo sull’emblema che Seshat indossa sulla testa.
Sir Alan Gardiner, egittologo, lo descrisse nel suo libro ‘Egyptian Grammar’ come un ‘fiore ? stilizzato, sormontato da corna’; il punto interrogativo dopo ‘fiore’ riflette il fatto che non c’è alcun fiore che somiglia a quello.
Altri lo hanno chiamato “stella sormontata da un arco”, ma le stelle nell’antica iconografia egizia avevano cinque punte, non sette come l’emblema di Seshat.
Questo numero era così importante che portò il faraone Tutmosi III a chiamare questa dea ‘Sefkhet-Abwy’, o ‘Quella dalle sette punte’”. Sappiamo per certo, invece, che l’Egitto iniziò a produrre hashish dalla canapa almeno 9 secoli fa.
La prima testimonianza della parola “hashish” appare in un opuscolo pubblicato al Cairo nel 1123 d.C.. Il documento accusava i musulmani del ramo Nizaris, attualmente il più grande gruppo di ismailiti sciiti, di essere dei “mangiatori di hashish”.
Il consumo di hashish tramite la combustione, infatti, non divenne comune fino all’introduzione del tabacco nel Vecchio Mondo: fino al 1500 l’hashish prodotto nel mondo islamico veniva ingerito e non fumato.