È deceduto pochi giorni fa Rodney James Alcala, il cui nome alla maggioranza dei lettori non dice nulla, ma che è uno dei più crudeli serial killer moderni rimasto in vita fino al 24 luglio scorso.
È morto all’età di 77 anni nel Carcere di San Quintino, nei pressi di San Francisco, condannato alla pena capitale nel 2010 per cinque assassini compiuti in California, tra i quali quello di una ragazza di 12 anni.
Nel 2013 era stato condannato ad altri 25 anni di carcere per due omicidi commessi a New York.
Era nato San Antonio il23 agosto 1943, era malato da tempo ed era in cura presso l’ospedale di San Joaquin Valley.
Negli Usa era conosciuto come “Dating Game Killer – Il killer del gioco degli appuntamenti” perché era solito uccidere i giovani invitandoli ad appuntamenti galanti.
Il suo primo omicidio risale agli anni ’70 dopo aver vinto in un programma televisivo, “Il gioco delle coppie”; in questo programma il giocatore doveva scegliere tre pretendenti nascosti da un muro, basandosi sulla risposta che essi avevano dato ai quesiti del presentatore.
Da giovane Rodney si era arruolato nell’esercito, ma aveva dovuto abbandonarlo presto a causa di disturbi mentali diagnosticati dalle autorità militari.
Si iscrisse poi all’università Ucla, laureandosi con ottimi voti. Dopo il corso di studi, si era convinto di essere dotato di un’intelligenza superiore.
Era tanto sicuro della propria superiorità da essere certo di risultare introvabile dalla polizia che lo cercava per i crimini commessi.
Coltivava anche l’hobby per la fotografia che poi trasformò in un vero e proprio lavoro.
I suoi crimini sono stati commessi dal 1968 al 1979, nello stato della California e a New York: era specializzato in strangolamenti e stupri, e spacciava anche droga, evidentemente usava la droga anche per le vittime.
Dopo una prima violenza sessuale ai danni di una bambina nel 1968, Alcala aveva cambiato nome, diventando un insegnante in un centro artistico per minori.
Così è riuscito a sfuggire alla legge per 3 anni.
Ma un poliziotto lo individuò a Los Angeles, permettendo così il suo arresto e la condanna.
Alcala fu liberato nel 1974 ma presto tornò a commettere omicidi. La sua firma erano torture e gli strumenti utilizzati per infliggere dolore.
Dopo aver fatto scempio dei corpi, scattava le foto con le quali immortalava le sue vittime. In certi casi rianimava le vittime per prolungarne l’agonia e pure queste pratiche venivano fotografate.
Alcala uccideva le sue vittime attaccandole prima con un martello e poi soffocandole lentamente in maniera tale da prolungare il più possibile la loro agonia.
Sebbene egli sia stato condannato inizialmente per cinque omicidi (diventati poi sette) in California, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che il totale potrebbe arrivare a 130; ma una stima espressa dalle autorità ammonta a 30-50 omicidi, il che sta a significare che, se è vero quello che il mostro afferma, e cioè che ha commesso oltre 130 omicidi, questo sta a significare che molti non sono stati identificati, o che Alcala ha millantato: ora si è portato nella tomba verità che avrebbero potuto essere rivelate.
Era un maniaco della fotografia e ha lasciato un archivio di oltre mille foto delle sue vittime e delle violenze alle quali le sottoponeva: in taluni casi da quelle foto la polizia è riuscita a risalire alle vittime.
Quando venne arrestato nel 1979, nel suo garage di Seattle è stato trovato un nutrito archivio fotografico, la maggior parte dedicato alle sue vittime; vi erano anche effetti personali sottratti alle vittime.