Pure in questo periodo di festività natalizie e di fine anno non dobbiamo dimenticare che tanti hanno subito o subiscono violenze inaudite che spesso portano alla morte.
Tante se ne possono raccontare, perché pure il web è ricco di tali storie.
Vogliamo ricordare quella che è capitata alla giovanissima Junko Furuta, una ragazza giapponese di 17 anni che nel 1988 venne rapita, torturata e uccisa da Jo Kamisaku e tre suoi amici, tutti legati alla mafia giapponese.
Il fatto avvenne il 25 novembre 1988; mentre Junko tornava da scuola venne rapita da 4 ragazzi legati alla Yakuza, la mafia giapponese, perché aveva rifiutato le avances di uno di loro.
Un episodio che ricorda tanti altre storie analoghe vissute nelle nostre contrade, le quali, però, finivano col matrimonio riparatore, e tutti erano felici e contenti.
Nel caso della giovane giapponese è tutt’altra storia, perché i suoi aguzzini vollero punirla per aver rifiutato le avances di uno di essi, e il rapimento era solo una vendetta che doveva svilupparsi con la torture alle quali la poveretta venne sottoposta per 44 giorni, e alla fine venne ammazzata.
Quello che segue è il racconto dei suoi 44 giorni d’inferno.
La ragazza viene portata nella casa di proprietà di uno dei sequestratori, Minato Nobuharu, dove resterà per 44 giorni subendo atroci torture.
Per evitare sospetti i sequestratori la obbligano a chiamare i suoi genitori e a dire di essere scappata di casa. Dovette anche dire di stare bene e che non voleva essere cercata.
In questo modo nessuno cercherà la ragazza e i suoi aguzzini sono liberi di fare i propri comodi.
Ai genitori di Nobuharu, quando vanno a visitare il figlio, viene spiegato che Junko è la fidanzatina di uno di loro.
Come dichiareranno successivamente, i genitori capiscono subito che qualcosa non quadra, ma non fanno troppe domande perché hanno paura del carattere violento del figlio.
Per prima cosa la ragazza viene stuprata da tutti i suoi sequestratori e, secondo le successive dichiarazioni, anche da altri uomini per un totale di più di 500 violenze.
Viene costretta a masturbarsi davanti ai ragazzi, e non viene nutrita se non con scarafaggi. L’unica cosa che può bere è la sua urina o quella dei suoi sequestratori.
Oltre agli stupri, le torture includono l’inserimento di oggetti in vagina e nell’ano fra i quali persino lampadine incandescenti, sigarette accese, fuochi artificiali che vengono poi accesi.
Viene ripetutamente picchiata, sul viso e su tutto il corpo, e le vengono fatti cadere sullo stomaco alcuni pesi da palestra che le causano danni gravissimi. A seguito delle ferite non riuscirà più a camminare, se non carponi.
Un giorno, approfittando di un momento di distrazione degli aguzzini, Junko cerca di chiamare la polizia, ma viene scoperta e viene punita con mozziconi di sigaretta spenti sulla sua pelle.
Un’altra tortura era quella di cospargerle le gambe di liquido infiammabile e poi darle fuoco. Una notte invece, la costringono a dormire nuda su un balcone pieno di neve. Non contenti i suoi aguzzini scattano diverse foto alla ragazza mentre viene torturata, immagini che saranno poi usate come prova al processo.
Quando i ragazzi si stancano di lei, la uccidono dandole fuoco.
Poi la mettono in un bidone di plastica riempito di cemento e l’abbandonano in una discarica.
Il suo corpo viene ritrovato grazie alla testimonianza di un pentito della yakuza che fa i nomi dei ragazzi; grazie a quella testimonianza, i quattro vengono arrestati.
Dato che sono minorenni, non possono avere responsabilità penale e se la cavano cambiando nome e città.
Nonostante molti sapessero del sequestro di Junko e dove si trovasse, nessuno volle aiutarla per paura di ritorsioni da parte della yakuza.
Questo delitto scosse molto l’opinione pubblica che chiese di abbassare l’età della responsabilità penale a 16 anni. In seguito a questo e ad altri delitti commessi da minorenni, oggi l’età per poter essere responsabili penalmente delle proprie azioni in Giappone è scesa a 14 anni.
Dalla storia di Junko sono stati tratti alcuni film, Shin Gendai Ryoukiden di Uziga Waita.