L’amante respinta che si trasformò in una belva
Sulla strage di via San Gregorio –contenuta in molte antologie del crimine– e in particolare sulla figura di Rina Fort sono stati scritti vari libri di noir come: Rina Fort di Max Rizzotto e Andrea Vivaldo, Rina ne uccide quattro, di Vittorio Orsenigo (Aliberti); ma ne hanno parlato anche Dino Buzzati (Crionache nere), Pier Paolo Fasanotti e Valeria Gandus (Mambo Italiano), Max Rizzotto e Andrea Vivaldo (Il caso Rina Fort), Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi (Il Caso Rina Fort), Giuseppe Grazzini e Gualtiero Tramballi (Cronaca nera).
Quello di via San Gregorio a Milano è uno dei crimini più feroci che la cronaca nera d’Italia abbia mai affrontato.
È la mattina del 30 novembre 1946.
A Milano, in via San Gregorio, a pochi passi da corso Buenos Aires e dal vecchio Lazzaretto di manzoniana memoria, una donna sale le scale di un palazzo al numero 40.
La donna si chiama Pina Somaschini, è la commessa del negozio di stoffe del padrone di casa e si sta recando dal suo datore di lavoro, il signor Giuseppe Ricciardi, commerciante di origini siciliane.
Giunta nel pianerottolo di casa Ricciardi vede la porta dell’appartamento socchiusa. Spinge la maniglia e quel che si presenta sotto i suoi occhi è uno scenario che non dimenticherà mai più: a terra giacciono tre corpi ricoperti di sangue.
La donna corre giù per le scale e va a chiamare le forze dell’ordine. I militari raggiungono l’appartamento e trovano a terra tre corpi, in diverse pozze di sangue, e su un seggiolone un bambino, che sembra dormire, ma non è così, i cadaveri sono quattro.
È la strage di via San Gregorio.
Identificare i corpi non è difficile: sono Franca Pappalardo, 40 anni, moglie di Giuseppe Ricciardi, e i suoi tre figlioletti: Giovannino di 7 anni, Giuseppina di 5 anni e Antoniuccio di appena dieci mesi. Giuseppe Ricciardi, detto Pippo, non c’è; da qualche giorno si trova in Toscana per motivi di lavoro.
Un quadruplice omicidio tremendo, ma chi può essere stato?
I sospetti ricadono fin da subito su una persona, grazie alle testimonianze dei vicini e conoscenti del Ricciardi: Caterina Fort, l’amante del signor Pippo Ricciardi.
Caterina Fort, detta Rina, nasce nel 1915 a Santa Lucia di Budoia, in provincia di Pordenone: è una donna non bellissima ma dal grande fascino, un po’ malinconica e dall’aspetto serio e triste.
Arriva a Milano ancora giovane con alle spalle un passato segnato dalle tragedie.
All’età di 10 anni un fulmine si abbatte sulla sua casa e la manda in frantumi; pochi mesi dopo assiste terrorizzata alla morte del padre, che cade in un burrone durante un’escursione nelle montagne del Friuli.
A 18 anni muore improvvisamente di tubercolosi ossea il ragazzo che avrebbe dovuto sposare.
A 22 anni convola a nozze con tale Giuseppe Benedet, un reduce dal conflitto in Abissinia, un matrimonio combinato, Rina non conosce affatto lo sposo che la sera stessa delle nozze dà sfoggio di tutti i suoi disturbi mentali: lega infatti la donna al letto e, dopo aver indossato la sua lingerie, comincia a seviziarla per poi punire se stesso alla stessa maniera. Il Benedet viene rinchiuso in manicomio il giorno dopo; qui morirà in breve.
A tutto questo si aggiunge la notizia della sua sterilità, che la condanna a non diventare madre.
Rina Fort è sola, addolorata, e decide di andare a Milano dove vive una sorella.
In un locale dove trova lavoro incontra Ricciardi, commerciante di stoffe, più grande di lei, è nemmeno bellissimo, ma è elegante, ha dei modi gentili e Rina finisce per innamorarsi di lui.
Tra i due inizia una relazione, e Pippo Ricciardi propone a Rina di andare a lavorare alla sua bottega e lei accetta.
Rina è la sua amante ma questo non lo sa, crede che il Ricciardi sia scapolo, ma in realtà l’uomo ha moglie e figli.
Rina Fort lo scopre dopo qualche tempo e, dopo aver pensato di mollare tutto, abbandonare l’amante e imbarcarsi su un bastimento diretto in America, accetta la particolare relazione tranquillizzata dalle parole del Ricciardi che assicura che la famiglia vive in Sicilia e che non c’è alcun pericolo.
Tutto va bene fino al mese di ottobre del 1946, quando succede un imprevisto che il Ricciardi non aveva calcolato.
Franca Pappalardo in Ricciardi nella lontana Catania è raggiunta da numerose voci di altri paesani immigrati a Milano che le parlano dell’infedeltà del marito.
Così Franca Pappalardo, nonostante sia incinta, prepara i bagagli e parte insieme ai tre figli.
Appena scesa alla stazione di Milano si dirige al negozio del marito, ma Pippo in quel momento non c’è. Al bancone c’è una donna dai capelli scuri e dallo sguardo malinconico ma risoluto.
Le due donne si fissano; basta un istante e capiscono chi è l’una e chi l’altra.
Franca si presenta, rivendicando il suo ruolo. Rina è spiazzata e sente il terreno mancarle sotto i piedi quando nota anche il gonfiore sul ventre della rivale in amore.
Da quel momento il rapporto tra Rina e Pippo Ricciardi si rompe, la donna viene invitata a lasciare il lavoro mentre l’uomo, ricongiunto con la famiglia, deve provvedere al sostentamento dei cari e a rimettere insieme i pezzi del puzzle coniugale.
Ma Rina Fort non ci sta a essere confinata al ruolo di amante, partner usata dal Ricciardi soltanto per riempire il vuoto delle notti milanesi lasciato dalla moglie lontana.
Il 29 novembre 1946 su Milano piove, il cielo è plumbeo. Rina Fort vaga per le vie poco illuminate del centro. Si sta recando dalla signora Franca, sa che Pippo non c’è, lontano per ragioni di lavoro. Forse è sola Rina, forse no, forse vuole parlare con la donna, mettere i puntini sulle “i” circa la sua posizione e poi sparire per sempre dalla vita sua e dello squallido marito.
Giunta dinanzi l’uscio di casa Ricciardi, Franca Pappalardo è sorpresa di vederla. Chiede le ragioni della sua visita e le ribadisce nuovamente di non farsi più vedere, di non cercare più suo marito.
Rina rimane stordita da queste parole, ha un mancamento e Franca la lascia entrare in casa. Le serve un bicchiere di acqua e limone per ridestarla dal malore, poi le dice: “Cara signora, lei si deve metter l’animo in pace e non portarmi via Pippo, che ha una famiglia con bambini. La cosa deve assolutamente finire, perché sono cara e buona, ma se lei mi fa girare la testa finirò per farla mandare al suo paese”.
Da lì a qualche istante scatta la tragedia: Rina Fort si riprende, nota una spranga di ferro che in quel momento si trova in cucina, e accecata dall’odio inizia a colpire Franca.
La donna si accascia a terra quando arriva Giovannino, il figlio maggiore. Il ragazzino si scaglia contro Rina, ma la donna si libera facilmente e indirizza i suoi colpi fatali anche contro di lui. Come una tragica sequela giunge anche Giuseppina; anche per lei stesso trattamento, così come anche per il piccolo Antonio, di 10 mesi, seduto sul seggiolone, forse addormentato e che non avrebbe mai potuto testimoniare su ciò che stava accadendo.
Rina colpisce risolutamente, poi scende per le scale, non sapendo cosa fare.
Passato pochi minuti e ritorna nell’appartamento dove sente i rantoli di Franca Pappalardo. La donna è ancora viva e la supplica di lasciar stare i bambini. La furia cieca di Rina è implacabile, colpisce ancora le sue vittime e infila dei panni umidi nelle loro bocche per soffocarli. Poi prende qualche oggetto di poco valore dalla camera da letto per simulare una rapina e scappa via.
Rina Fort viene bloccata il giorno stesso del rinvenimento dei corpi. Dopo circa una settimana confessa di essere stata in quella casa la sera del 29 novembre.
Ma le sue deposizioni sono contrastanti: dapprima afferma di aver avuto una colluttazione con la signora Franca e di aver colpito sia lei sia i tre bambini, da sola, dopo sostiene di aver avuto un parapiglia con la madre di famiglia, ma di non aver ucciso lei la donna e i bambini: sarebbe stato un uomo, un tale Carmelo Zappulla, amico del Ricciardi; il Zappulla sarà anche incarcerato per parecchi mesi ma su di lui non si riuscirà a provare mai nulla.
Rina viene inviata ad Aversa, al manicomio criminale per degli esami sulla sua stabilità mentale: la giovane donna sta bene. Per la giustizia italiana è Rina Fort l’unica colpevole, è lei quella che passerà alla storia come la belva di San Gregorio.
Sarà condannata all’ergastolo; passerà dietro le sbarre 29 anni; in questo lungo periodo è perseguitata nel sonno dalle voci dei piccoli Ricciardi, incubi che la portano a impegnarsi nella confezione di vestitini per bambini, nel tentativo di esorcizzarne gli spettri.
Nel 1975 il Presidente della Repubblica Giovanni Leone le concede la grazia.
La Fort, ritrova la libertà, cambia nome (prendendo quello di Benedet, l’ex marito psicotico) e va a vivere a Firenze, in casa di una famiglia che le dà ospitalità; muore per un infarto il 2 marzo 1988.