Anche gli animali sono quotidianamente oggetto di violenze, questo lo sappiamo tutti, ogni giorno si parla delle violenze alle quali sono sottoposti anche gli animali da compagnia, cani, gatti e via dicendo.
Pure qui a Cava qualche anno fa un cane venne trovato impiccato ad un cancello, reo di aver fatto il proprio dovere; era a guardia di un piazzale privato nel quale erano parcheggiati autobus, il proprietario lo trovò impiccato, evidentemente da parte di qualcuno che ce l’aveva con lui.
Ma il caso di un elefante impiccato è veramente orribile, perché prevede una volontà e una organizzazione che spaventano: nessuno è più crudele di un essere umano.
In verità era una elefantessa, si chiamava “Big Mary” e apparteneva ad un circo equestre sulla cui pista si esibiva.
L’esecuzione avvenne nel settembre 1916, oltre un secolo addietro.
All’epoca non c’era molta sensibilità nei confronti degli animali catturati per esibirsi in un Circo equestre, all’epoca non si rendevano conto che catturare una creatura bella e maestosa come un elefante gli avrebbe fatto subire una vita di schiavitù e tortura, non si rendevano conto che gli elefanti che vivevano una vita sotto il tendone, non avrebbero percepito un’esperienza certamente più gratificante in libertà, e si trovavano anche peggio rispetto alle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare nelle terre selvagge.
Non si rendevano conto che gli elefanti erano esseri senzienti con emozioni profonde e non solo animali potenti, e aggressivi solo quando sono in pericolo.
Non si pensava che rapire un elefante dal suo gruppo familiare nelle terre selvagge e metterlo in catene dolorose, che irritavano costantemente le zampe e causavano piaghe purulente, sarebbe stata la fonte costante di una maggiore tortura.
Non si rendevano conto che gli elefanti non erano felicissimi di essere trasferiti, rinchiusi in stive puzzolenti buie e solitarie, inondate di mosche, umida e marcita dal fieno, dove le lugubri trombe sarebbero state rinchiuse, attutita dai suoni del mare e ignorata, mentre vomitavano per il mal di mare, si dondolavano e ondeggiavano per un mese nel viaggio sugli oceani.
Non si erano resi conto che gli elefanti potevano piangere quando venivano picchiati, o quando urlavano perché perforavano le loro sensibili orecchie con uncini affilati, o tiravano le catene in modo che scavassero nelle loro ferite purulente mentre il periodo di addestramento si evolveva e il loro spirito si spezzava.
Agli aguzzini non importava quando c’erano giorni in cui “Big Mary” sembrava volesse morire, e si sdraiava su un fianco e si rifiutava di mangiare, mentre le lacrime le rigavano il muso e la depressione le divorava il cervello: la prendevano a calci sul muso e le aprivano la proboscide e facevano ingoiare forzatamente i frutti marci e le rovesciarono galloni di whisky nella gola e così la calmavano.
Agli “umani” importava solo che potesse suonare le corna, sedersi sui talloni e sfilare intorno al ring con la sua imbracatura fatta su misura per guadagnare due soldi da ogni membro del pubblico tra la folla.
Quella era la vita sotto il tendone al Traveling Circus di Charlie Sparks ogni sera.
Poi era ora di tornare in gabbia, poi su un vagone del treno, fino alla prossima città e alla prossima esibizione, anno dopo anno, senza luce né gioia.
A nessuno importava del dente malato di “Big Mary”, a nessuno importava che la cosa la addolorasse e che si stava cariando anche l’altro da oltre due anni.
A nessuno importava che un elefante, proprio come un essere umano, soffra di un dolore lancinante per il mal di denti.
Perché, una volta che quel treno era arrivato in Tennessee, avevano scaricato “Big Mary” e l’avevano fatta camminare in una parata: mal di denti o no, l’elefante doveva attirare l’attenzione della folla.
E i cittadini si erano allineati per le strade solo per vedere l’attrazione “Big Mary”.
Non importava che quel giorno le facessero sedere un novizio sul dorso.
Walter Eldridge, un vagabondo, si era appena unito al circo solo il giorno prima; teneva il pungolo nella sua mano e pungolava e punzecchiava la bocca dolorante di Mary mentre cavalcava sulla sua schiena, tra le file di curiosi affascinati, sorridendo e salutando mentre applaudivano lungo le strade costellate di coriandoli di Kingsport.
Tutti furono sorpresi quando Big Mary buttò giù Walter Eldridge dal suo dorso con il suo tronco forte e flessibile e lo gettò a terra come una bambola di pezza, e gli calpestò la testa.
Tutti rimasero scioccati quando cervelli, bulbi oculari e sangue schizzarono da quello che un tempo era stato il cranio di Walter Eldridge.
Tutti allora furono presi dal panico, tranne un fabbro locale, che aveva ritenuto necessario portare una pistola a una parata familiare e che tirò cinque colpi conto “Big Mary”.
Ma i proiettili non uccisero Mary: pensavano che non le facesse male, perché gli elefanti hanno una pelle così spessa e non possono sentire queste cose come gli umani.
E tutti erano infuriati quando “Big Mary” si era improvvisamente calmata.
Allora la circondarono urlandole contro, chiedendo che fosse messa tra due locomotive e schiacciata, o meglio ancora, incatenata tra loro e smembrata. O che fosse fulminata.
Mentre la folla gridava vari metodi di tortura aggiuntivi all’elefante sofferente, “Big Mary” rimase in piedi con calma, dolorante per le ferite da proiettile e il dente cariato, sanguinante e con le lacrime che le rigavano il viso triste.
E tutti furono contenti quando Charlie Sparks stesso, suggerì di linciare la bestia omicida.
Quel giorno portarono una gru da 100 tonnellate per appendere “Mary l’assassina”, che doveva essere uccisa.
La esecuzione dell’elefante sarebbe stata la sua ultima esibizione, e attirò tanta folla: avrebbe permesso al detentore del biglietto morbosamente curioso di assistere allo spettacolo; i biglietti si esaurirono, rimasero solo posti in piedi.
Nessuno rimase deluso quando scoprirono che “Big Mary” non si sarebbe esibita nel circo quel pomeriggio: era crivellata di pallottole e la maggior parte non si rese conto che un uomo da circo era un imbroglione che inseguiva il “dollaro onnipotente”.
Dopotutto, sarebbero riusciti comunque a vedere un elefante impiccato.
Erano lì per questo, e poco importava se “Big Mary” aveva sudato e pianto tutta la notte, contorcendosi in agonia per i cinque proiettili conficcati in profondità nei suoi organi molli, perdendo lentamente sangue e indebolendosi sempre di più, mentre il suo dente cariato le faceva male al cranio.
C’era una folla di 3.000 persone quando lo spettacolo si concluse.
E furono deliziati quando “Big, Murderous Mary” guidò la processione di elefanti, una linea che si aggrappava l’uno all’altra dalla proboscide alla coda, fino alla gru che sarebbe servita come forca.
Bloccarono la sua gamba in catene e la legarono a un binario, le fissarono una pesante catena intorno al collo, la sollevarono sulla gru, ma si dimenticarono di staccare la catena intorno alla gamba.
La catena si allungò e si piegò, e si tese intorno al collo mentre la sua famiglia di elefanti guardava, barrendo inorridita, sconvolta.
La folla esortava i carnefici: “Lasciala oscillare, lasciala oscillare” cantavano.
Quando l’elefante si alzò sulla sua catena, improvvisamente tutti tacquero.
Furono sorpresi di sentire le ossa di “Big Mary” torcersi e spezzarsi, i suoi legamenti allungarsi e scoppiare, mentre veniva issata in aria per un metro e mezzo, mentre la catena intorno alla sua caviglia le impediva di lasciare il suolo.
La folla si sorprese quando la catena intorno al collo si spezzò all’improvviso e il corpo di Big Mary venne sbattuto a terra con un sonoro crack, si poteva sentire come la sua anca veniva schiacciata, spezzata contro il suo peso, mentre lei gemeva in agonia.
Ridacchiarono quando un uomo si arrampicò sul suo corpo come una piccola collina e le riattaccò la catena intorno al collo, gioirono quando le fu tolta la catena dalla gamba in modo che dondolasse, ridacchiarono e ballarono quando la “Big Murderous Mary” fu finalmente sollevata, in alto nell’aria e iniziò a essere strangolata e il suo tronco si contorceva e le sue zampe si dibattevano e le sue urla rimbombavano, e dai suoi occhi scorrevano le sue ultime lacrime.
Ci è voluto molto tempo prima che morisse, e allora tutti risero di lei e applaudirono.
“Big Mary” ondeggiò per trenta minuti interi prima che un veterinario la dichiarasse morta.
Quella stessa sera il Circo fece il pienone, e nessuno si ricordò della povera “Big Mary” impiccata il mattino.
Tanto a chi importava, era solo un elefante, meno che niente.