scritto da Filippo Falvella - 17 Dicembre 2023 09:43

Robinson Crusoe, come impadronirsi della propria vita a discapito della stessa

L’errore di Robinson non è quello di tornare ad una vita che in effetti ci spetta, ma di affrontare Venerdì come unica speranza di poter tornare a vivere, questo perché noi dobbiamo essere il nostro Venerdì, lunedì martedì e l’intera settimana.

 

La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe

“La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe”, più semplicemente noto come “Robinson Crusoe”, è un romanzo di Daniel Defoe pubblicato il 25 Aprile del 1719, il quale fece da capostipite a quello che oggi definiamo il classico romanzo d’avventura.

La trama del romanzo è semplice, Robinson Crusoe è il figlio d’un mercante tedesco originario di Brema, e contrario al futuro d’avvocato e i  conseguenti studi giuridici che il padre lo costringeva a seguire, un po’ come la maggior parte dei grandi letterati italiani dal medioevo in poi, decide di seguire la sua indole, la quale lo dirigeva verso il mare. Appena diciannovenne il ragazzo decide d’imbarcarsi alla scoperta del mondo, ritrovandosi ad affrontare differenti peripezie, le quali lo condurranno a naufragare su di un’isola sulla quale resterà per dodici lunghi anni. Durante questa permanenza Robinson terrà un diario, ove avrà la briga di annotare tutte le vicissitudini che lo toccheranno sull’isola, e il suo ricreare una vita congeniale all’interno della stessa.

Al termine di questi anni d’isolamento la sorte del naufrago cambierà, con la conoscenza di Venerdì, così battezzato in virtù del giorno in cui ne fa la conoscenza, e questo fortuito incontro lo porterà ad affrontare una serie di avvenimenti che porranno un termine al suo annoso isolamento.

 

L’adattamento al divenire

La famosa “Teoria dell’evoluzione” di Charles Darwin, biologo e naturalista britannico nato poco meno d’un secolo dalla pubblicazione di “Robinson Crusoe”, il 12 febbraio del 1809, si spacca fondamentalmente in due sensi, non necessariamente collegati tra di loro, “la teoria del cambiamento” e “la teoria del miglioramento”.

Nella prima il pensatore di Shrewsbury scrive del necessario cambiamento che ogni forma di vita si trova ad affrontare, al fine di preservare se stessa, per meglio adattarsi a tutto ciò che la circonda, mantenendo tali adattamenti all’interno della sua specie, e trasferendoli man mano attraverso la prole. Nella seconda fase della teoria Darwin espone il possibile miglioramento di tale specie, attraverso appunto tale adattamento, il quale riesce a permettere ad una specie di proliferare più a lungo grazie alla sua capacità d’adattarsi e dunque “migliorarsi”.

La lettura Darwiniana è stata soggetta a molteplici interpretazioni, le quali hanno tendenzialmente riportato l’intera teoria ad una sorta di linea progressiva e progressista, alla luce d’un tentativo di dare una certa prevedibilità alla condizione umana nel suo costante “miglioramento”. Non dilungandoci troppo sulla già bonariamente trattata filosofia di Darwin, poniamo adesso il precedentemente trattato Crusoe come spartiacque tra le due teorie, quella del cambiamento e quella del miglioramento, trattandolo per analogia come uomo nel suo esser tale.

 

Il richiamo alla propria individualità

Il protagonista del romanzo Defoeniano affronta nei dodici anni trascorsi sull’isola una sorta di evoluzione individuale, costretto all’adattarsi ad un mondo completamente nuovo e privo della compagnia e dell’aiuto che la società l’aveva abituato ad avere. Egli è tutto d’un tratto costretto a farsi carico di tutte quelle mansioni che ognuno di noi affida ad altri, soprattutto al giorno d’oggi che comodamente ci consente di trasferire doveri mondani ad altri individui che se ne fanno carico, che sia esso un barbiere o una qualunque attività commerciale, rendendosi unico artefice di qualsivoglia attività che la vita offre. Brillantemente il protagonista incarna la prima teoria d’adattamento, riuscendo a sopravvivere per dodici anni, e in questo caso consequenzialmente si  fa esempio anche della seconda, riscontrando un miglioramento pratico ed individuale nella sua persona. Robinson scopre sè, diventa indipendente da chiunque se non da se stesso, e si fa fautore assoluto del movimento della sua vita, ma questo finché non avviene la sua conoscenza con Venerdì.

Venerdì rappresenterà la via di fuga e la speranza per il ritorno alla vita dalla quale egli era inizialmente fuggito, rifugiandosi nella vita che il mare gli offriva. Nonostante egli fosse stato capace attraverso la sua individualità di ricreare un mondo che gli fosse affine, una realtà che gli appartenesse, decide di fuggire da tale replica alla quale aveva dato la sua fisionomia, tornando ad una realtà che gli apparteneva meno, ma che sicuramente lo avrebbe più comodamente fatto tornare alla balia di tutti, in una vita che forse ci appartiene meno, ma che molto probabilmente vivremmo con maggior serenità.

Lo sfuggire ad una vita che risponde solo a sé, in favore d’una vita dove sono gli altri a decidere per noi, fa parte d’una convenzione dove ognuno limita una parte che gli appartiene per comodamente usufruire d’una parte di chi fa lo stesso. E’ di questo ragionamento non s’intenda che la risposta alla domanda “chi sono?” provenga dall’isolamento, bensì che se come Robinson volessimo pensare alla vita come una nave, dovremmo quantomeno farci timonieri di questa, e non mozzi. Per poter vivere autenticamente è davvero necessario identificarsi per quel che si è, rinunciando almeno una volta alla visione di sé come parte del tutto, in favore di quella che vede noi come tutto in ogni parte. L’errore di Robinson non è quello di tornare ad una vita che in effetti ci spetta, ma di affrontare Venerdì come unica speranza di poter tornare a vivere, questo perché noi dobbiamo essere il nostro Venerdì, lunedì martedì e l’intera settimana.

Nella conoscenza di chi siamo non abbiamo bisogno d’un posto da poter identificare come casa e d’una vita da identificare come nostra, perché con la piena consapevolezza di noi stessi ogni posto può diventare casa e ogni vita sarà la nostra.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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