Tra qualche mese saremo chiamati a votare sui quesiti referendari sottoposti alla Corte Costituzionale, dalla quale si attendeva l’ammissibilità degli stessi.
Ovviamente erano rilevanti le attese dei cittadini, specialmente per uno di essi, il più pubblicizzato, quello sull’eutanasia, promosso dall’Associazione Luca Coscioni, che, a fronte delle 500.mila firme previste dalla Carta costituzionale, ne ha raccolto oltre 1.200.000: tale plebiscito fa comprendere come il problema sia sentito.
Ma anche altri hanno focalizzato l’attenzione degli elettori, più attenti alle questioni politiche e ai diritti costituzionali dei cittadini.
Ma andiamo con ordine.
-1- Eutanasia, promosso dall’Associazione Luca Coscioni, era uno dei referendum di tipo abrogativo, quello meno contestato dai costituzionalisti, perché chiedeva di abrogare alcune parole dell’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) le quali, allo stato, impediscono la pratica dell’Eutanasia.
Ciononostante la Corte Costituzionale lo ha respinto sostenendo che non sarebbe tutelata la vita umana di persone deboli e vulnerabili.
-2-Il referendum per la coltivazione della Cannabis per uso terapeutico, pure promosso dall’Associazione Luca Coscioni, unitamente al Forum Droghe e ai partiti +Europa, Europa Verde, Sinistra Italiana, Rifondazione e Potere al Popolo, per il quale sono state raccolte 630.mila firme. E’ il secondo Referendum che la Corte Costituzionale non ha ammesso.
La motivazione della Consulta è che il quesito è posto male, perché farebbe estendere la coltivazione anche ad altre droghe considerate “pesanti” e comunque non terapeutiche.
Effettivamente nel testo proposto non c’è alcun riferimento specifico alla “Cannabis”, perché parla genericamente di stupefacenti e sostanze psicotrope.
Potrebbe sembrare un tentativo, da parte dei promotori, di far passare in questo modo la liberalizzazione di tutte le droghe; ma non hanno considerato che chi doveva decidere non sono sprovveduti politici, ma professionisti abituati a pesare bene le parole.
-3- I referendum sulla Riforma della Giustizia sono sei, promossi dalla Lega e dai Radicali, su proposta di nove Consigli Regionali di Centrodestra, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria e Veneto, palesemente contro l’appena approvata riforma proposta dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia, la quale ha ripreso il precedente testo dell’ex Ministro Bonafede, in parte modificato.
La riforma Cartabia tenta di risolvere gli annosi problemi del settore intervenendo per accelerare le procedure: un testo controverso che ha già avuto problemi nel corso dell’approvazione in Parlamento, e che molte critiche ha suscitato pure da parte dei Magistrati.
E’ sintomatico, comunque, che i sei Referendum siano stati promossi dalla Lega di Salvini, la quale sostiene il Governo Draghi. La Lega continua a dimostrare di essere con un piede dentro e con l’altro fuori del governo, forza di governo e di opposizione, un atteggiamento equivoco che porta discredito a quel partito, ma provoca ulteriore distacco di molti elettori da questa politica: gli elettori che non seguono passo-passo i bizantinismi di taluni, non capiscono.
In merito ai sei Referendum che riguardano la Giustizia, ecco, nello specifico, di cosa si tratta.
Riforma del CSM; il Referendum propone l’abrogazione dell’obbligo, per un magistrato che intende candidarsi alle elezioni per i togati al Csm, di trovare da 25 a 50 firme per presentare la candidatura. Questo sistema ha contribuito, finora, a rendere un candidato “vittima” del gruppo che lo ha sostenuto perché, poi, potrebbe chiedere contropartite; il caso Palamara è illuminante, e se quest’Organo essenziale per la Magistratura sta attraversando la crisi che più volte anche il Presidente Mattarella ha evidenziato, lo si deve anche a queste “cordate”.
La Corte Costituzionale lo ha dichiarato ammissibile, e si spera che gli elettori diano la spallata finale e riportino il CSM nell’alveo della trasparenza.
Custodia cautelare. Il Referendum intende porre un freno a questo istituto giuridico, limitando la Custodia ai reati più gravi e abolendo la carcerazione preventiva anche per “reiterazione del medesimo reato”.
La Corte Costituzionale lo ha dichiarato ammissibile, ed è un fatto positivo in quanto sembra un paradosso tenere segregato un presunto colpevole di reati minori, per la paura della reiterazione.
Vi sono altri sistemi per evitare ciò e anche la tecnica ha dato il suo contributo.
Torna alla ribalta il tema spinoso della Separazione delle carriere dei Magistrati sulla base della distinzione tra funzioni inquirenti e giudicanti.
Era stato uno dei cavalli di battaglia di Berlusconi, che nei suoi governi ha più volte insistito perché questa riforma si attuasse, ma il Parlamento non ha voluto mai saperne.
Oggi i promotori dei referendum sperano di spuntarla chiamando a decidere gli elettori, scaricando così su di essi una responsabilità che molti elettori stenteranno ad assumersi; sono problemi specifici che riguardano la Magistratura inquirente, quella che indaga, e la Magistratura giudicante, vale a dire quella che dovrà esprimere una sentenza.
Molti elettori non comprendono la problematica; se oggi un Magistrato fa parte di quelli che indagano, ma domani sarà chiamato a diventare Giudice che dovrà emettere una sentenza, ovviamente non lo farà in un processo i cui presunti colpevoli sono stati da esso inquisiti, e ci sono già oggi adeguate garanzie in tal senso.
A proposito della separazione delle carriere, indipendentemente dalla considerazione che esiste una coscienza e una deontologia professionale, già adesso esistono meccanismi che evitano che a un Magistrato inquirente possa essere affidato, quale Magistrato giudicante, un processo per il quale egli ha indagato.
D’altronde pure i Magistrati, checché se ne dica, sono soggetti a controlli pressanti, altrimenti non sarebbe venuto fuori il caso di Luca Palamara, che è stato radiato, e il recentissimo caso del Giudice Piercamillo Davigo, una delle punte di diamante del pool di Magistrati di Mani Pulite, ora rinviato a giudizio per il caso Amara e la Loggia Ungheria.
Un altro Referendum, non ammesso dalla Consulta, riguarda la Responsabilità diretta dei magistrati, al pari degli altri pubblici funzionari.
Non ci pronunciamo in proposito, perché la questione è spinosa e dibattuta; da un lato non si comprende perché i Magistrati, che sono uomini, e in quanto tali possono commettere errori, non debbano essere giudicati per il loro operato; dall’altro è fuori dubbio che sottoporli ad un controllo potrebbe comportare una censura del loro operato, e c’è chi asserisce che questo potrebbe trasformarsi in un condizionamento.
Entrambi i punti di vista sono condivisibili, probabilmente gli elettori si troveranno in imbarazzo, potrà anche capitare che non si raggiungerà il quorum previsto (dovranno votare non meno del 50% + 1 degli aventi diritto al voto) e quindi il problema potrebbe rimanere irrisolto.
D’altronde, se così sarà, c’è sempre la possibilità di ricorrere alla Corte europea dei diritti umani.
L’ultimo Referendum, pure accolto, riguarda l’abolizione della legge Severino eliminando l’automatismo dell’interdizione dai pubblici uffici per i soggetti condannati, con l’intento di restituire ai giudici la facoltà di decidere quando e se applicare la misura.
La tanto discussa e contestata legge, conclusa dalla Ministra Paola Severino nel 2012, Governo Monti, fu varata a seguito degli studi, da parte dell’UE e dell’OCSE, dai quali emerse che nel nostro paese la corruzione costava allo stato circa 60.miliardi l’anno, un costo pari al 3,8% del nostro Pil (media europea 1,0%), eravamo al terzo posto nel mondo, dopo il Messico e la Grecia; la legge proveniva dal precedente Governo Berlusconi, che non ne aveva potuto completare l’iter, e prevede tanti paletti volti ad impedire la corruzione e, tra l’altro, concussione, incandidabilità, ineleggibilità, sospensione, e decadenza di chi è colpito da condanne penali per reati non colposi.
La personale considerazione finale sui Referendum non accolti non può che essere negativa in quanto ha privato i cittadini di esprimere il proprio parere su questioni di grande importanza, privando gli stessi di partecipare attivamente a decisioni che investono i diritti fondamentali dei singoli.
Il Referendum è una espressione di democrazia, quindi, al di là dei motivi tecnici, rimane il problema di fondo, quello dell’esercizio della democrazia.