scritto da Nino Maiorino - 06 Giugno 2023 06:53

“Rapito” il film che non si vede

Marco Bellocchio ha perso una buona occasione per raccontare la storia di un rapimento e della fine del Papa Re

 Non si vede nel senso letterale, ed è un peccato, perché racconta una vicenda che si svolge dal 1858 al 1870, praticamente attraversa circa un decennio di storia prima della famosa breccia di Porta Pia, che pose fine al predominio del papato sull’Italia centrale, relegandolo all’interno delle Mura Vaticane.

La vicenda, che sconvolse la vita della famiglia Mortara di Bologna (all’epoca anche l’Emilia Romagna era nel possesso dello Stato Pontificio), è un fatto storicamente accertato, e fu uno dei tanti episodi che portò al ridimensionamento del potere della Papato su varie regioni italiane, oltre al Lazio.

Vediamo cosa accadde.

Edgardo Mortara con i genitori

Il caso Edgardo Mortara fu una celebre vicenda storica che catturò l’attenzione internazionale in gran parte dell’Europa e del Nord America tra gli anni cinquanta e sessanta del XIX secolo.

Riguarda la sottrazione di un bambino di 6 anni alla sua famiglia ebraica da parte delle autorità papali, avvenuta il 23 giugno 1858 a Bologna, allora parte dello Stato Pontificio, cui fece seguito il trasferimento del bambino a Roma sotto la custodia di papa Pio IX, per esser allevato come cattolico.

Nonostante le reiterate e disperate richieste dei genitori di riavere il bambino, il papa rifiutò sempre di riconsegnarlo.

 

Foto della famiglia Mortara al completo nel film

Ciò contribuì a creare nell’opinione pubblica, sia italiana che estera, l’immagine di uno Stato Pontificio anacronistico e irrispettoso dei diritti umani nell’età del liberalismo e del razionalismo, contro cui sarebbe stato opportuno che i Savoia intervenissero militarmente, come effettivamente poi accadde.

Edgardo Mortara era nato in una famiglia ebraica di Bologna il 27 agosto 1851, era stato battezzato nel suo primo anno di vita, all’insaputa dei genitori, dalla domestica cattolica Anna Morisi, che lo riteneva in pericolo di vita.

Nel 1987 l’inquisitore di Bologna venne a conoscenza del fatto, e la Santa Inquisizione decretò che il battesimo aveva reso Edgardo irrevocabilmente cattolico.

E giacché le leggi dello Stato Pontificio vietavano a persone di altre fedi religiose di crescere i cristiani, i genitori del bambino persero la patria potestà su Edgardo, e la Gendarmeria pontificia entrò in casa della famiglia Mortara e portò via Edgardo, che venne cresciuto in un collegio cattolico, al di fuori della famiglia d’origine, diventando poi sacerdote.

Quando il caso del bambino rapito trapelò, suscitò uno scandalo internazionale per lo scarso senso di umanità da parte di Papa Pio IX.

Il caso Mortara, per un periodo dimenticato o sottovalutato dalla storiografia italiana, ricevette nuova eco dopo l’uscita del libro “Prigioniero del Papa Re”, dello storico David Kertzer, ma soprattutto dopo la decisione di papa Giovanni Paolo II di beatificare Pio IX nel 2000, influenzando negativamente le relazioni tra la Chiesa cattolica e le organizzazioni ebraiche.

E veniamo ora al film di Marco Bellocchio, che viene proiettato nelle sale cinematografiche da qualche settimana.

Nel titolo l’ho già bollato come non guardabile, nel senso che, per evidente scelta del regista, probabilmente mal consigliato dai suoi assistenti tecnici, è girato in un buio intenso al punto che sullo schermo (almeno quello di una sala cinematografica di Salerno) si vede quasi niente.

D’altronde basta guardare il “trailer” (https://www.youtube.com/watch?v=te3zRiNdlTs) per rendersene conto: esso dura circa due minuti, il film ha la durata di 134 minuti, e per i 90% lo schermo è privo di luce.

Se non fosse stato per questa pecca, il film avrebbe dato un ottimo contributo alla storia, in quanto molto aderente all’accaduto, e Bellocchio dovrebbe interrogarsi se sia valsa la pena di privare il pubblico della rigorosa ricostruzione della vicenda storica per mancanza di luce.

A mio avviso è stato un peccato.

Evidentemente Bellocchio e i suoi tecnici intendevano ricostruire la luce naturale degli interni (oltre il 90% delle scene) ispirandosi al famoso film “Barry Lyndon”, girato da Stanley Kubrick nel 1975.

In quella opera cinematografica, basilare anche dal punto di vista tecnico, il regista e gli addetti alla macchina da ripresa si posero lo stesso fine, quello di illuminare gli interni con la luce delle candele e delle lampade ad olio.

Ma, evidentemente per la maggiore perizia del regista e dei tecnici, adottarono accorgimenti tali da ottenere il loro scopo ma non privare lo spettatore della luce necessaria per seguire compiutamente la vicenda.

Solo per dovere di cronaca precisiamo che per le riprese interne vennero utilizzate lenti rivoluzionarie, studiate dalla Zeiss per la NASA (come il Zeiss Planar 50mm f/0.7, uno degli obiettivi più luminosi mai realizzati nella storia della fotografia), e di nuove macchine da presa messe a punto dalla Panavision.

E’ stato un peccato che questa volta Bellocchio si sia perduto in un bicchier d’acqua, togliendo merito anche all’ottimo “cast” di attori di prim’ordine.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

2 risposte a ““Rapito” il film che non si vede”

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