“Molto forte incredibilmente vicino” è un gran bel libro. Ne ho fatto esperienza qualche anno fa. Jonathan Safran Foer, come i Grandi sanno fare saltellando dal Particolare all’Universale, racconta la storia di un bambino traumatizzato dalla scomparsa del papà negli attentati alle Torri Gemelle. Nella tragedia, che tutti possiamo sentire, c’è un frammento di mondo che ci ha profondamente cambiato. Ha cambiato la percezione, ogni giorno, che tutti quanti abbiamo quando usciamo di casa a quando ci ritorniamo la sera.
Ha innescato un meccanismo pericoloso e furente capace di annullare la Ragione: la Paura. Ce ne rendiamo bene conto quando prendiamo un aereo, dai controlli da effettuare per imbarcarci.
L’11 settembre, insomma, ci ha consegnato un immagine diversa di noi stessi e di chi ci sta attorno, mettendo in risalto l’inconscia e ancestrale concezione che avevamo lasciato indietro nel tempo: l’idea del Nemico, di qualcuno che attorno a Noi ci odia e cospira per far andare le cose male. In antitesi rispetto al modello di tolleranza e convivenza a cui, negli anni del trionfo della globalizzazione, ci eravamo abituati. Ma quelle immagini, flash bulb per dirla con gli americani intendendo ricordi che prendono forma in un istante ripensando a quei momenti che tutti – per televisione – abbiamo visto, ci consegnano anche qualcos’altro. La constatazione che ci sono aree del Mondo disallineate e distanti dai flussi globali in cui la mancanza di opportunità e l’invidia verso la parte avanzata – il nostro Mondo – alimentano fuochi di odio, risentimento, guerra e su cui dobbiamo necessariamente continuare ad intervenire con il sostegno ai programmi di sviluppo. Un odio e un rancore che strumentalizzano la matrice religiosa – le vittime principali dell’11 settembre sono stati i musulmani sparsi nel mondo – per creare fazioni di contrapposizione, vere e proprie guerre tra Mondi.
Lo vediamo accadere tutti i giorni di fronte all’apocalittico flusso migratorio che ha effetti dirompenti sull’assetto delle nostre società europee: dalla politica, al welfare, all’economia, tutto il mondo, ancora oggi risente pesantemente degli effetti di quell’11 settembre. Siamo cresciuti? Forse perchè abbiamo visto più cose accadere ma ancora non ci siamo liberati di quella sensazione di insicurezza profonda, Paura, alla base dei conflitti infiniti sparsi per il Pianeta. Uno su tutti, la Siria, dove sembra, adesso, estremamente difficile prevedere una via d’uscita risolutiva e pacifica.
Senza parlare dell’Iraq, della Libia e dell’Afganistan dove si fa veramente fatica a capire come realmente stanno andando le cose. Alla fine la gente sta realmente meglio rispetto a prima oppure no?
Abbiamo solo domande, al momento, ma non per questo dobbiamo disimpegnarci anzi.
L’11 settembre, alla fine, ci dice anche che siamo fortunati. Siamo cittadini italiani, fondatori di un grande processo di pace e stabilità che è l’Unione Europea: possiamo dire quello che vogliamo sull’UE ma non possiamo negare che questa costruzione, sebbene complessa, ci abbia assicurato cinquant’anni di pace nel nostro continente. Dare valore alla data dell’11 settembre potrebbe voler dire ripartire da quello, grande, che abbiamo e valorizzarlo per rilanciarlo verso il futuro per fare in modo che pure chi viene dopo di noi possa avere le stesse condizioni, oppure migliori addirittura, in termini di opportunità.
Partendo, però, anzitutto da quello che siamo noi: un grande Paese, strano e incomprensibile per chi ci vive addirittura, ma fatto di una straordinaria e visionaria capacità di vedere il futuro attraverso i valori, la cultura, le ispirazioni che provengono dalle nostre tradizioni, dal nostro passato.
Sviluppare questa consapevolezza, ci consegna l’immagine di un Bel Paese, per natura aperto in mezzo al mare, che dell’accoglienza e del confronto tra idee ha fatto, nel passato remoto e recente, la sua grandezza.
Una ricorrenza, quella dell’11 settembre, che suona soprattutto al tempo che viviamo non come giorno di memoria ma come, potente e pesante, momento di sveglia.