E’ stata chiamata la caffettiera sostenibile
Quando si parla di glorie della industria italiana si pensa immediatamente alla Olivetti, alla Marzotto, alla Fiat o all’ENI.
La curiosità è l’anima della ricerca, e avendo trovato una rievocazione della mitica Moka Bialetti, abbiamo pensato di andare a cercare le eccellenze italiane del secolo scorso e ci siamo trovati di fronte ad una miriade di dati.
Le pagine web che riportano ciò sembra siano 1714 (un vocabolario), e di queste solo 200 sono quelle dedicate ai cognomi più noti.
E abbiamo trovato anche Alfonso Bialetti, il creatore della caffettiera Moka Express, in buona compagnia di numerosi altri pionieri della industrializzazione del paese, inventori che hanno creato una miriade di comodità che probabilmente oggi vengono usate quotidianamente ma non vengono apprezzate adeguatamente.
Cuccumella, caffettiera napoletana
Per restare nel campo è il caso di andare all’origine della caffettiera, vale a dire andare a scovare la originale napoletana, chiamata anche “cuccumella”, quella che Eduardo De Filippo, in un intermezzo della commedia “Questi fantasmi” descrive, al dirimpettaio, seduto sul balconcino.
In verità la cuccumella non ha origini napoletane, venne inventata nel 1820 dallo stagnino parigino Jean-Louis Morize il quale brevettò una modifica della sua precedente caffettiera a inversione a doppio filtro (creata nel 1819), perfetta per preparare il caffè senza ebollizione e senza evaporazione; la realizzò in rame, materiale più nobile e più facilmente sagomabile.
E’ anche il caso di spiegare come funziona la cuccumella per comprendere poi il vantaggio della Moka, che ormai viene utilizzata in quasi tutto il mondo occidentale.
Tecnicamente è più complicato usare la caffettiera napoletana che, rispetto alla moka, è composta da un numero maggiore di elementi e richiede un procedimento più lungo.
Il risultato? Un caffè molto intenso e dal gusto rotondo, non paragonabile all’espresso che ora siamo abituati a gustare.
La cuccumella è composta da cinque pezzi: serbatoio cavo, serbatoio forato, filtro del caffè, caffettiera, coperchio.
Il procedimento per usare la caffettiera napoletana è abbastanza complesso.
Tenere tutti i pezzi, compresi stracci da cucina e presine, a portata di mano, riempire di caffè il serbatoio, non schiacciare il caffè, avvitare il filtro, riempire d’acqua l’altro serbatoio, avvitare filtro e serbatoio, mettere la macchinetta sulla fiamma, capovolgerla, così l’acqua calda sottostante passerà attraverso il caffè filtrandolo e raccogliendosi nel serbatoio con il beccuccio; il caffè va servito bollente direttamente dal beccuccio della macchinetta, dando così al rito una nota retrò.
Passiamo ora alla MOKA.
Era il 1933 quando Alfonso Bialetti ebbe la geniale intuizione che portò all’invenzione della moka, strumento che andrà a cambiare la vita di milioni di persone.
Soprattutto in Italia.
Infatti non tutti sanno che questa caffettiera, prodotta poi successivamente in oltre 300 milioni di esemplari, venne inventata quasi per caso, come nelle migliori storie.
Alfonso Bialetti, l’inventore, divenne grazie a essa uno dei grandi imprenditori del nostro paese.
Ripercorriamo le tappe più importanti della macchina del caffè che tutto il mondo conosce, icona di design, quella di Bialetti, inclusa ufficialmente nelle collezioni del Museum of Modern Arts (MoMA) di New York a titolo permanente e copiata in tutto il mondo.
Tornando indietro di quasi un secolo, ci troviamo a Crusinallo di Omegna, sul lago d’Orta, città natale di Alfonso Bialetti il quale qui torna nel 1919 dopo aver lavorato 10 anni in Francia nell’industria di alluminio, e fonda in Italia l’omonima azienda Alfonso Bialetti & C. che produce oggetti vari di alluminio per la casa.
Una piccola officina, di fianco a un lavatoio che in quelle zone chiamavano la «lisciveuse»: un pentolone dotato di un tubo cavo situato al centro dove mettere panni e detersivo, chiamato ai tempi la liscivia; grazie all’ebollizione, l’acqua saliva lungo il tubo assieme alla liscivia per poi ridiscendere sul bucato in modo uniforme.
Osservando questo meccanismo Alfonso Bialetti ebbe la folgorazione: pensò di replicare il sistema per la caffettiera.
Bialetti ebbe così la meglio sulle grandi aziende già produttrici di macchine del caffè dei tempi, come Gaggia, Pavia e Cremonesi, per i materiali che andò a utilizzare: l’alluminio, al posto dei metalli pesanti come rame e ottone dei suoi concorrenti.
Tra i vari punti di forza la dimensione: piccola, maneggevole, utile e pratica, composta da soli tre elementi, andò così a sostituire macchine ingombranti con una di dimensione casalinga.
Era il 1933 e Alfonso Bialetti, insieme all’inventore Luigi De Ponti, brevetta la MOKA costituita da sole tre parti: la caldaia dove si mette l’acqua, il filtro dove viene messo il caffè macinato e la parte superiore dove sale la bevanda quando è pronta.
L’alluminio la rende popolare, grazie anche alla propaganda del Ventennio, che vede in questa lega il futuro della nazione.
Ricordiamo anche che in quegli anni il consumo del caffè sale, a causa dell’invasione dell’Etiopia che inizia a fornire prodotto all’Italia; in un attimo, la moka entra nelle case degli italiani.
Renato Bialetti
Ma fu Renato Bialetti, il figlio di Alfonso, a lanciare l’azienda del padre verso fatturati stellari.
Durante gli anni della guerra l’azienda chiuse per poi riaprire nel 1946 con un impianto più grande capace di produrre 18 mila caffettiere al giorno, ovvero 4 milioni all’anno.
Una lunga storia di passione e impegno imprenditoriale che subisce però anche colpi bassi: come quello che la contrappone alle caffettiere elettriche con le cialde.
La Moka dedicata agli Alpini
Ma il fascino della moka non può essere scalfito, e a testimoniarlo sono i tanti designer che negli anni ne hanno ridisegnato forme e linee: tra tutti ricordiamo il brand Alessi, capace di aver riunito i maggiori progettisti del ‘900 per reinventare questa caffettiera: Aldo Rossi, Michele De Lucchi, Mario Trimarchi, David Chopperfield, tra i migliori interpreti della moka, ancora oggi in commercio.
La Moka griffata
Un’altra curiosità che testimonia a favore dell’uso della moka.
Secondo uno studio recente promosso dall’Accademia dei Georgofili -la storica istituzione fiorentina che da oltre 250 anni promuove, tra studiosi e proprietari agrari, studi di agronomia- la moka è molto più sostenibile ed ecologica rispetto alle macchine in cialde e capsule.
Moka elettrica a due tazze
Tre i motivi: consumo minore di energia elettrica, minore quantità di imballaggi, minore impronta di carbonio.
Quindi la moka è tra le caffettiere più sostenibili, è ancora oggi considerata un rituale per il caffè e un oggetto di design esposto nei migliori musei del mondo; perciò non mettiamola in cantina.