Da qualche tempo si fa un gran parlare del M.E.S., acronimo di “Meccanismo Europeo di Stabilità”, dai più conosciuto come “Fondo Salva Stati”, del quale, a detta di molti, anche di uomini politici ed economisti, si conosce molto poco.
La confusione è accresciuta, nelle ultime settimane, da una diatriba molto accesa, con insulti e minacce di querele (un ulteriore segnale di indegnità di questa classe politica) tra l’ex Ministro Matteo Salvini e l’attuale squadra di governo, e nel mirino di Salvini, spronato anche da Giorgia Meloni di FdI (più defilato Silvio Berlusconi e FI), è finito non solo il Premier Giuseppe Conte ma anche, a cascata, Luigi Di Maio e il M5S, unitamente a Nicola Zingaretti del PD e Matteo Renzi di Italia Viva, da poco transfuga dal PD.
Vediamo, prima di ogni altra cosa, di fare un poco di chiarezza.
Il MES è stato introdotto nella normativa dell’Unione Europea nel luglio 2012 a seguito della modifiche del Trattato di Lisbona del marzo 2011, in conseguenza dell’aggravarsi dei debiti pubblici, e sarebbe dovuto entrare in vigore subito.
Però la sua attuazione venne momentaneamente sospesa per un cavillo sorto con la Germania, poi chiarito.
In parole spicciole il Meccanismo, nato per salvare dalla bancarotta Cipro, il Portogallo, l’Irlanda, poi la Grecia, ha il compito di assicurare adeguata assistenza finanziaria ai paesi membri in difficoltà, acquistando parte dei loro debiti, ma a condizioni molto severe, che giungono fino all’intervento diretto nei conti dei paesi con debiti ad alto rischio.
A grandi linee funziona come una riserva per sostenere o soccorrere i paesi che hanno difficoltà finanziarie.
Subentra, in ciò, il meccanismo detto delle “CACS”, acronimo di “Clausole di azione collettiva”, e cioè di quelle clausole che andrebbero inserite nei prospetti di sottoscrizione dei Titoli di stato che comporterebbero la ristrutturazione del debito pubblico, finora prevista con doppio intervento da parte del sottoscrittore e dello Stato (double limb), in seguito unilateralmente da parte dello Stato (single limb).
L’iter di ratifica del Trattato che istituisce il MES si è concluso già negli anni scorsi, il nostro Parlamento lo approvò nel luglio 2012, quando era in carica il Governo Mario Monti, Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
E’ bene precisare subito che non è considerato un parametro di pericolosità l’entità del debito di un paese, che vedrebbe l’Italia al primo posto in Europa, in quanto il nostro debito non è a rischio tant’è che, al rinnovo delle “trance” periodiche, spesso la domanda da parte degli investitori istituzionali è superiore all’offerta, il che sta a significare che gli investitori si fidano del nostro paese.
Non è tutto oro ciò che luccica, in quanto, come dice un vecchio detto popolare partenopeo, il nostro paese si identifica nel “surco cummoglia surco – solco copre solco”, cioè “faccio un nuovo debito per pagare quello vecchio”; ma finché il sistema regge, e sta reggendo da decenni, non si vede quale sia il problema.
Comunque le polemiche odierne evidenziano anche l’infondatezza di talune prese di posizioni con le quali che c’è chi pronostica che l’entrata in vigore del MES metterebbe a rischio i risparmi degli italiani.
L’intervento del MES nei confronti dei Paesi con debito a rischio include anche interventi sanzionatori che scatterebbero in caso di mancato rispetto delle scadenze di pagamento delle rate, che giungono fino al divieto di voto nel Parlamento europeo.
Il condizionale è d’obbligo in quanto, nonostante tutto il trambusto che si sta facendo, nulla è definito e tutto è rinviato alla prossima primavera, ed inoltre l’attuazione piena delle norme potrà avvenire solo con l’accordo di tutti i Paesi membri.
Allo stato, quindi, è tutto è rinviato, ciononostante non si sono ancora placate le polemiche tra i nostri politici, i quali vicendevolmente si accusano delle peggiori nefandezze, una fra tutte quella di aver accetto il meccanismo firmandolo nottetempo: il che è l’ulteriore prova della strumentalità delle prese di posizioni dell’opposizione nei confronti del governo in carica.
Altro discorso sul tappeto è che di tutto questo nessuna sapeva nulla, meno di altri il nostro ex Ministro degli Interni, l’intrepido Matteo Salvini, il quale pure avendo partecipato direttamente o indirettamente alle riunioni del Consiglio dei Ministri del precedente governo Lega-M5S, il Conte.1, sembra che fosse all’oscuro di tutto. E pure in sede europea, nelle cui riunioni di Parlamento egli partecipava a pieno titolo essendo anche parlamentare europeo, gli avrebbero occultato il tutto.
Matteo Salvini potrebbe ben sostituire l’immagine delle famose tre scimmiette, quelle dell’ “io non vedo, io non sento, io non parlo”, o, ancora più, quella dell’agnostico dell’ “io non c’ero, e se c’ero dormivo”; il pubblico deciderà dove collocarlo.
Salvini è partito bellicosamente ”lancia in resta” contro l’accordo, sostenendo, fra l’altro, che le modifiche che dovrebbero essere apportate (a suo dire sarebbero già state apportate senza alcuna delibera parlamentare) sono peggiorative per il nostro paese; Conte sostiene invece che il testo era già stato approvato nel precedente suo governo, il Conte.1, formato da Lega-M5S, e minaccia querele, sfidando l’avversario a non farsi proteggere dalla immunità parlamentare, della quale Conte non gode non essendo un parlamentare: quasi a dire “vieni fuori se hai coraggio”: a questo siamo arrivati!
Secondo Salvini il nuovo testo comporterebbe la ristrutturazione forzosa del nostro debito, tesi alla quale timidamente sembra accodarsi anche Di Maio (ma lo spessore del personaggio non sembra far testo), Conte e Gualtieri smentiscono decisamente, sostenuti da Mario Monti.
E’ chiaro che il tutto si gioca sulla credibilità delle persone in quanto la complessità della vicenda e delle norme non consente alla massa di approfondire il testo, e tra le due fazioni in contesa non resta molto da scegliere.
E qui sembra venir fuori il disegno recondito che già caratterizzò la partenza del precedente governo Lega e M5S, quando inizialmente i due promotori avevano proposto Paolo Savona come Ministro dell’economia, ruolo decisamente bocciato dal Presidente Mattarella per la dichiarata volontà di Savona di uscire dalla moneta unica, con la riserva di uscire, poi, dalla Unione, secondo una intesa già raggiunta con Salvini e Di Maio.
Ora questo recondito fine, allora bloccato sul nascere, sembra che aleggi sull’attuale diatriba sul MES, a significare che l’uscita dall’Unione viene ora subdolamente riproposta dal sovranismo nostrano, il quale sembra voler far rientrare dalla finestra ciò che all’epoca Mattarella caccio dalla porta.