Le nostre giornate, prendiamoci un attimo magari per pensarci, scorrono a volte a una velocità talmente rapida che non ce ne accorgiamo: alla fine della giornata, sfiniti, ci chiediamo che abbiamo fatto e, a volte, pare che nemmeno ci ricordiamo.
Il mondo che viviamo, inteso come epoca che per la maggior parte non abbiamo scelto, si contraddistingue, forse oggi più che nel Passato, per un elemento su tutti: la velocità con cui accadono le cose e vengono scambiate le informazioni.
Tutto succede nel giro di un respiro e non ci sta manco il tempo per pensarci che già quello che ci stava un istante prima è diventato, int a na vutata r’uocchie, passato.
Siamo veloci dalla mattina quando ci svegliamo e prendiamo il caffè, quando parliamo con amici e colleghi, quando siamo sbrigativi al telefono. E, infine, pure quando torniamo a casa siamo sbrigativi e veloci con chi ci sta attorno.
Ma la velocità, che per certi aspetti assomiglia a quel pervasivo concetto di liquidità particolarmente caro a Zygmunt Bauman, fa anche male. Per forza di cose, ci sono elementi, dettagli, frammenti, che nella velocità sfuggono e perdono di considerazione e valore o, addirittura, talvolta non vengono nemmeno visti.
Il tempo che viviamo sembra talmente assuefatto alla velocità che sembra non trovare spazio la semplice considerazione che vi sono cose, creazioni del mondo e dell’uomo, che per esistere e svilupparsi necessitano di una declinazione del tempo particolare, personalizzata, e, insomma, “tutta loro”. U’ purp s’ coc int’all’acqua soja, dicevano i nonni per indicare che, alla fine, per quanto ti vuoi sciumunire davanti a una situazione, è sempre vero che le cose devono seguire il “loro corso”, hanno un ciclo di vita sul quale possiamo fare poco o niente.
Non è spirito di rassegnazione ma si tratta di considerazioni sulla realtà per quello che è.
Tra le dimensioni che più necessitano di un “tempo loro”, c’è sicuramente quella del Pensiero umano: c’è bisogno di tranquillità, rilassatezza, slancio creativo nel vuoto e un pizzico di sana e creativa nullafacenza (sempre necessaria, nei limiti) per dare modo al pensiero di respirare e iniziare a camminare e svilupparsi in maniera spontanea. Pure perché poi i pensieri non nascono su input razionali e intenzionali, anzi, per la maggior parte sono frutto di corti circuiti randomici che avvengono nel cervello.
A volte facciamo fatica a riconoscerlo e, addirittura lo ignoriamo: pochi o nessuno sembrano voler dare ascolto al necessario tempo di decantazione di cui lo sviluppo del pensiero e della mente ha bisogno. Anzi, come la mattina nella metro quando tutti cercano a tutti i costi di indaffararsi tuffandosi dentro a un libro o nello schermo del telefono, così pare che tutti fanno letteralmente a gara per voler correre di più. Uno dopo l’altro.
Si ha l’impressione che, aldilà dell’innegabile voracità delle nostre giornate professionali, tutti oggi abbiamo bisogno di impegnarci il più possibile sempre di più fino a non lasciare nulla di libero nelle nostre giornate per non lasciare che il tempo libero – un terribile vuoto che spaventa – possa fare capolino. È sempre una corsa sulla corsa. Ma è una corsa in cerchio, in tondo. Dove non ci sta un vincitore, o meglio, dove non si arriva mai definitivamente ma, anzi, si gira in tondo per cominciare sempre dal solito punto.
Se si prova, per un istante, ad alzare lo sguardo ci si rende forse conto di un esilarante illusione.
La corsa, potrebbe darsi, non è altro se non la semplice reazione di chi non riesce a stare fermo, a guardarsi per un istante dentro, perché spaventato dal vuoto, enorme e silente, che potrebbe trovare davanti.
La velocità, quindi, null’altro è se non l’illusione di rispondere, senza rispondere, a realtà e bisogni che albergano dentro di noi e che, chissà per quale motivo, forse perché siamo diventati troppo razionali e positivi, facciamo fatica ad accettare e a guardare allo specchio.