La crescita di una pianta domestica può dipendere da molteplici fattori: dalla cura che si dà ad essa, dal contesto nella quale questa è inserita, o addirittura dall’interesse di chi la possiede nel far sì che questa cresca.
Una cosa però è certa, in un modo o nell’altro quella pianta muterà. Che il suo mutare consista nell’appassire delle sue foglie o nel rigoglioso sviluppo dei suoi fiori poco cambia, questa muterà.
Il movimento che questa intraprenderà sarà all’apparenza statico, poiché lento ma costante, invisibile ma sotto gli occhi di tutti, ed in un certo senso inarrestabile. Questo perché tutto, là dove quel tutto è un antropocentrico riferimento a noi, tende a mutare ogni giorno, l’unica decisione che ci spetta è la natura di quel cambiamento.
La complessità di un così naturale andare delle cose però risulta decisamente poco ovvia, almeno in un contesto dove il cambiamento sembra sempre più associato ad un allontanarsi dal proprio essere, un distaccarsi dai propri valori o addirittura una forma di incoerenza.
Ma della stasi del movimento vale comunque la pena discutere, nella speranza che la consapevolezza del costante cambiare possa, di fatti, cambiare qualcosa.
Una delle complessità del nostro cambiare è dettata dal fatto che il cambiamento richiede, se non pretende, una rivoluzione.
Una rivoluzione che nell’errata ottica in cui gli altri devono aver tempo per abituarsi alle nostre novità può risultare forviante o incoerente rispetto a quanto eravamo, o meglio quanto gli altri ritenevano fossimo, prima.
Un bambino che una volta scoperta la triste notizia che le nuvole non sono effettivamente solide, sembrerà un guastafeste agli occhi degli altri bambini che ancora le ritengono tali, e sarà di conseguenza da loro emarginato. Perché? Per la colpa d’aver avviato un mutamento prima dei suoi coetanei.
Un individuo che manifesta il coraggio di uscire dalla propria stasi, nel tentativo di scoprire e di conseguenza scoprirsi, sarà sempre ritenuto come una minaccia da coloro che sono invece soddisfatti del loro sapere, ben consci dello sforzo che lo stravolgere il proprio essere possa richiedere. Ma tale stravolgimento non è una necessità, è un dovere naturale e alla quale non è possibile sottrarsi: èe deve essere nella nostra natura la costante ricerca orientata al definirci, come si può conoscere ciò che siamo se non conosciamo prima tutto ciò che non siamo?
A quante meravigliose cose potrebbe prestarsi la nostra natura, quanti meravigliosi talenti potremmo avere che non scopriremo mai se prima non tentiamo, a costo di fallire, tutto ciò che in minima parte ci attrae?
L’interessarsi a tante cose, il volerne scoprire di nuove ogni giorno, il non fermarsi con la nave del nostro divenire in nessun porto, non fa di noi delle persone incerte o addirittura sconclusionate, ma incarna la perfetta e indistinguibile natura di coloro che amano la vita e l’amore stesso: gli esseri umani. Ma tale vagabondaggio può certamente risultare spaventoso, sia per chi ha già deciso di voler trovare casa sia per chi invece teme di non trovarla mai, sia per chi s’illude d’averla comprata che per chi invece sente d’averne perso l’occasione.
Ed è per questo che mi sento di dare a queste persone un consiglio: c’è un solo modo per non cambiare mai, ed è cambiare ogni giorno.
Essere sé stessi non è definire un proprio modo d’essere e tentare ad ogni costo di perseguire quel modello, essere sé stessi è vivere nella coerenza di poter cambiare idea, esser divulgatori della consapevolezza che poiché tutto cambia non è chi segue tale flusso ad essere in errore, ma chi gli si oppone. Il cuore trae il suo sostentamento, per crescere sempre più grande e spazioso, direttamente dagli occhi e da ciò che vedono.
Se questi vedono poco, come fa il nostro cuore a sostentarsi?